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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La pesca del corallo, esperita dagli abitanti di Torre del Greco in terre lontane, affonda le sue radici nella notte dei tempi. Una significativa traccia documentale di tale attività risale alla metà del 1400, allorché i torresi la spuntano favorevolmente in tribunale, in seguito a sentenza del Reggente della Real Cancelleria, contro il loro feudatario Antonio Carafa il quale ha imposto de imperio una tassa arbitraria, la cosiddetta gabella sul pescato, a tutti i proprietari delle imbarcazioni da pesca. Sulle ali della vittoria si rinvigorisce sempre più il campo di azione dei pescatori, circoscritto, al momento, al mare della Corsica e della Sardegna. L'orizzonte si amplia nel 1780, allorché il desiderio di accrescere il guadagno, sorretto da una tempra insolita nell'affrontare la durezza delle fatiche, invera l'obiettivo di effondersi nelle acque del Mediterraneo al largo delle coste africane, in barba ai numerosi pericoli, non escluso quello del'assalto predatorio da parte dei corsari barbareschi. La marcia espansiva, per quanto audace e rischiosa, risulta graduale e ponderata: dall'approdo iniziale a Galita, isola disabitata e deserta, avente un perimetro di nove miglia e distante quaranta miglia da Tunisi, lo sconfinamento aumenta sempre più fino a quarantatré miglia da Algeri. Nei due anni successivi avviene il superamento di Capo Negro, Capo Rosa e Capo di Bona. Ben presto la base di Galita viene dotata dell'assistenza religiosa e fisica grazie alla presenza di un prete e di un medico. Sovrintendono a tutelare la incolumità di tutti gli operatori la vigilanza di Gennaro Avardo e di suo figlio Giuseppe, corsari di professione con truppe armate, il tutto a completo carico dei numerosi "corallari" che arrivano a portare in loco ben quattrocento imbarcazioni. Le mutate condizioni richiedono una organizzazione più puntuale. La prammatica del 14 aprile 1790 istituisce un consolato con propria giurisdizione, un nuovo ordinamento degli armatori, capisquadra e marinai, nonché un nuovo monte. Con la successiva prammatica dell'8 ottobre vede la luce una compagnia di settore,deputata ad espletare una serie di compiti: fornire ai padroni e caposquadre delle feluche coralline una serie il denaro occorrente per armarle ed equipaggiarle con un interesse determinato secondo i diversi luoghi di destinazione per la pesca e le stagioni dell’anno; dare loro spago, funi, pane o biscotti al prezzo di costo; pagare tutte le spese occorse durante il viaggio e la pesca; aprire una fabbrica a Torre del Greco per lavorare spago e funi per l’attrezzatura delle feluche; impiantare a Napoli e a Torre la fabbrica del corallo. In compenso la Compagnia ha il diritto privilegiato di comprare e vendere il corallo al prezzo fissato da dieci esperti, cinque nominati dalla Compagnia e altrettanti dai capisquadra. Ma tutto questo impianto va ben presto in crisi e gli ultimi barlumi della sua pessima amministrazione si avvertono nelle fiamme prodotte dai relativi registri, andati in fumo durante la terribile eruzione del Vesuvio del 1794.
Nella seconda parte dell'Ottocento la pesca del corallo, eseguita lungo le coste dell'Algeria, in cui gli abitanti di Torre del Greco recitano il ruolo di protagonisti, attraversa un periodo di profonda crisi la quale, per la verità, viene da lontano. Non a caso, sfogliando i registri, relativi alla quantificazione delle imbarcazioni torresi impegnate in siffatta attività dal 1837, notiamo come il loro numero iniziale di 230 si è abbassato nel corso del tempo con una leggera ripresa nel 1852, allorché si attesta sulle 221 unità. Nel 1853, addirittura, il trend negativo procede rovinosamente a picco verso le 116 imbarcazioni su un totale di 125, di cui due appartengono a Livorno, due a Trapani e una a Portici. L'occasione è utile per dare uno sguardo d'insieme al fenomeno, al fine di comprenderne le motivazioni profonde dell'attuale stallo. A prima vista colpisce la varietà dei nomi dati alle paranzelle, attinti quasi sempre dal calendario religioso, nelle cui pieghe si intuisce facilmente la ricerca della protezione celeste. Reputiamo di fare cosa gradita riproponendo, a mero titolo esemplificativo, la denominazione di alcune con la specifica dei proprietari: Santa Maria di Portosalvo di Gennaro Magliulo, Santa Maria Maddalena di Angelo Antonio Magliulo, Santa Vittoria di Michele Serpe, San Leonardo di Gennaro Palomba, San Benedetto di Mattia Mattera, Madonna del Carmine di Giovanni Battista Sasso, Sant'Anna di Francesco Ruggiero, Maria dell’Arco di Santo della Monica, San Luigi di Nunzio Sportiello, Santo Spirito di Gennaro Iuliano, Maria di Montevergine di Gennaro Borriello e San Francesco di Paola di Sebastiano d’Urso. Spezza l'uniformità "La Bionda" di Francesco Accardo. Rientra, invece, nel contesto generale quella del porticese Raffaele di Donna, denominata Madonna del Principio. Addirittura tra quelle trapanesi troviamo due con lo stesso nome di Gesù Maria Giuseppe: la prima appartiene a Giuseppe Portuese, la seconda a Giuseppe di Cocco. Utilizzando il criterio del maggiore equipaggio, occupa il primo posto San Giuseppe di Pietro Sogliuzzo con diciannove marinai,seguita da Maria di Montevergine di Gennaro Borriello e Immacolata di Raffaele Aurilio, entrambe con quindici. Seriamente preoccupato della situazione critica del settore, le cui conseguenze negative si ripercuotono sull'intera economia torrese, il sindaco pro tempore rispolvera un antico antidoto, mirato a coinvolgere negli utili societari i marinai, come avviene tuttora nella marina mercantile. La proposta, sottoposta alla Camera Consultiva del Commercio il 19 febbraio 1853, viene bocciata, in quanto foriera di danni maggiori. La risoluzione si gioca su una duplice alternativa operativa: la prima mira ad elaborare un regolamento che costringa i marinai disertori a prestare sevizio sulle navi da guerra, finché non ripaghino di tasca propria le eventuali perdite economiche prodotte agli armatori; la seconda contempla la istituzione a Torre del Greco di un monte di categoria, sollecito a venire incontro a tutte le esigenze degli associati, compresa la pensione a favore degli anziani e degli invalidi. Nemmeno queste agevolazioni riescono a ridare vitalità al settore che fa naufragare anche l'offerta di un coevo piano algerino di rilancio generale.
L'incontro tra gli Intendenti delle province del regno, tenutosi a Napoli nel mese di maggio del 1846, rappresenta una vera e propria analisi programmatica, nel cui ambito rientrano le opere già eseguite e quelle in cantiere. Apre i lavori l'Intendente di Napoli, Spinelli, con una radiografia circostanziata sulla città di Napoli. L'abbrivo dialogico è quanto mai felice con l'annuncio della conclusione quasi definitiva della ricostruzione e dell'ampliamento della strada di Santa Lucia, il cui maggior dispendio di risorse economiche rispetto a quelle preventivate trova la sua ragion d'essere nell'attuale piacevolezza dell'asse viario. Trovandosi in una condizione carente, dovuta, soprattutto, alle violente bordate delle onde prospicienti, Mergellina reclama un analogo trattamento di messa in sicurezza e di abbellimento. Il tratto che si estende dalla Torretta fino alle rampe di Sant'Antonio si avvia alla felice conclusione. Godono i benefici della ricostruzione le vie Sant'Anna dei Lombardi, Trinità Maggiore e Salita di Montoliveto. Lascia a desiderare la costruzione del mercato di Tarsia, tanto da deludere le attese della vigilia anche in termini di massiccio investimento di denaro. Pur essendo stato eretto in un luogo non paludoso, non lontanto da quello di Montoliveto, viene occupato solo in parte. Non si discutono la bellezza e l'utilità dell'edificio che potrà essere adibito in seguito anche per altri usi. Del resto il mercato di Forcella, gli altri due, rispettivamente, ubicati al vicolo Beifiori e nei pressi dell'ospedale del Sacramento, rispondono in pieno alle loro funzioni mercantili. Si spera che possa seguirne la scia quello che dovrà sorgere, secondo il progetto, nel largo Duchesca a Porta Capuana. Via Foria, che si distingue per la sua ampiezza e per la densità della popolazione, costituisce lo snodo entro cui confluiscono le altre arterie circonvicine. Colà si ammira la chiesa di San Carlo all'Arena, finalmente ricondotta all'antico splendore e devozione, destinati a crescere di molto, non appena sarà aperto il tratto viario di collegamento con San Giovanni a Carbonara. La città riceve ulteriore bellezza dalle numerose strade campestri dell'Arenaccia e dei Fossi, che fanno capo a vari quartieri. Va ascritto nel novero dei monumenti il cimitero, la cui grande chiesa, l'ampio parallelogramma destinato a centodue congregazioni, il pio convento, le decorose sepolture, le policromatiche aiuole e le incantevoli vedute concorrono a rinsaldare in concreto il vincolo inestricabile tra i vivi e i morti. Nel merito la provincia napoletana sta compiendo notevoli passi: sono già stati benedetti i cimiteri di Forio d'Ischia, Massa, Trocchia, Pollena e San Sebastiano; sono sulla dirittura di arrivo quelli di Gragnano, Boscotrecase, Pianura, Sant'Antimo e San Giovanni a Teduccio.
L'acqua affluisce a Napoli attraverso due canali, uno più antico chiamato Olla, Volla o Bolla e il secondo, finito di costruire nel 1634 circa, denominato Carmignano. Le sorgenti pubbliche, invece, sono cinque: Santa Maria la Nuova o Acquaquilia, San Pietro Martire, Leone, Marinella e Santa Barbara. Nello spazio compreso tra Pomigliano d'Arco e Somma le acque zampillano in alcune grotte che danno origine a quattro condotti o bracci: Preziosa, Tavernanova, Benincasa e Calzettaio che portano l'acqua nella casa costruita poco distante dal Salice. A questo punto una parte minima si riversa nell'alveo Criminale, anima vari mulini privati e forma l'attuale Sebeto. La maggior parte, invece, accresciuta dall'afflusso idrico del quarto braccio, detto Nuovo o Sottocorrente e sito a venti passi dalla suddetta Casa, scorre nelle cavità sotterranee in maniera quasi parallela alla strada di Puglia. Il distacco avviene poco dopo, allorché, seguendo un proprio tragitto indipendente, raggiunge il luogo chiamato Pepe, ove raccoglie le acque defluenti lungo il canale. Quindi, va ad alimentare nel palazzo della Regina Giovanna una ferriera, i mulini di Apicella e di San Teodoro, e due fontane di Poggioreale. Prima di Porta Capuana perde un ramo idrico detto San Giovanni a Carbonara che prosegue la sua corsa attraverso l'Orticello in direzione della Porta di San Gennaro. In itinere altre diramazioni se ne distaccano per tracciare un loro tratto autonomo su entrambi i lati. Poco prima di toccare la meta finale, un altro ramo idrico accompagna il solco della strada Maddalena fino all'angolo dell'Annunziata. Alla fine, la corsa confluisce in città, precisamente, nella località denominata la Formella prima di Castel Capuano .......
La terza tappa del viaggio, che si snoda, secondo il programma prestabilito dalle autorità ministeriali del 1858, nelle sezioni comunali della capitale, onde preparare il materiale indispensabile alla commissione di statistica, offre ai nostri occhi la sezione Stella. Essa risulta, fin dall'iniziale colpo d'occhio, rispetto alle precedenti già visitate, come la meno dotata di attrezzature imprenditoriali dal punto di vista quantitato, anche se nessuno mette in dubbio il loro tasso qualitativo. Infatti, nella strada Nuova Capodimonte si concentrano quattro fabbriche: la prima mira a produrre macchine per tornire il ferro; la seconda macchine a vapore, tubi, caldaie e torchi per stamperie; la terza macchine a vapore per la produzione dell'allume e dell'acido solforico; la quarta risulta una vera e propria filanda. Tutti e quattro i suddetti opifici devono la loro normale attività al capitale degli imprenditori stranieri. Sulla stessa falsariga si proietta la sezione San Ferdinando, anche se la dislocazione imprenditoriale si rivela leggermente più varia. Apre la serie la fabbrica di finimenti per cavalli da carrozza, internata nelle grotte del marchese di Sessa dentro cappella vecchia a Chiaia. Un'altra di stampo meccanico è relegata in fondo nel vico Colascione al Monte di Dio. Nella strada nuova a Pizzofalcone si stende una fabbrica deputata alla costruzione di apparecchi per la illuminazione a gas. Chiudono l'elenco alcune fabbriche di mobili e di pianoforti, nonché alcune stamperie. Tutti questi stabilimenti, a detta dell'esperto che ci guida, nonché estensore del verbale, secondo una scala valoriale ufficiale, vanno classificati nel novero di quelli mediani. Il tono viene ampliato notevolmente dalla presenza massiccia della stamperia reale, della fonderia dei cannoni e dell'arsenale dell'artiglieria, che adornano Castelnuovo. Va da sé che questi ultimi rientrano nella sfera militare statale.
Proseguendo il viaggio nella capitale del regno delle due Sicilie, al fine di rinvenire l'ossatura produttiva della città,secondo le direttive ministeriali,ci spostiamo, sulla relativa scorta documentaria del 1858, nella sezione Vicaria, soffermandoci nelle singole strade e riproponendo di seguito in maniera fedele le risultanze dell'analisi effettuata colà sulla suddetta materia, ritrascritta per generi lavorati. Così troviamo due fonderie di oro e argento in Vico di Pontenero, un'altra di ferro in via Vasto a Capuana e quella più importante di canne da fucile, di proprietà pubblica e ubicata nella strada Poggioreale. Ben tredici fabbriche adornano vico tutti i Santi, vico Speranzella e vico Reclusorio. Due fabbriche di cerogine o candele si stendono nella strada Poggioreale e, precisamente, all'Arenaccia. Una fabbrica di sapone si staglia in vico Sant'Anna, una fabbrica di aceti si protende in largo Cavalcatojo, specificamente ai Fossi. Cinque fabbriche di fiammiferi caratterizzano via Vasto, Fossi Vasto, ponte di Casanova e largo Cavalcatojo. Due fabbriche di mistura di lastrici operano in strada nuova dei Fossi e, nello specifico, al vico Trufolo. Una fabbrica di tele "incerate" procede a pieno ritmo in vico di tutti i Santi. Tre congerie di pelli echeggiano nella strada Arenaccia alla Polveriera e al Largo Cavalcatojo. Una vetreria rimbomba nel vico Trufolo. Quattro lanifici connotano il vico Cetrangolo e il vico lungo Sant'Antonio Abate. Tre tintorie si trovano nella strada Trivio, nel vico San Giovanniello e in quello di Marcoviglio. Nel perimetro sezionale si concentra anche un alto numero di botteghe. Infatti, trentuno officine di fabbri si stendono lungo il largo Carriera grande, piazza Tribunali, strada Carbonari, vico Sotto a Carbonara, strada San Ferdinando a Pontenuovo, borgo Sant'Antonio Abate, largo Cavalcatojo, largo Vasto, strada numerata e piazza Nuova Foria. Una bottega di calderai o ramai è operativa nel vico Ziti. Sei botteghe di miniscalchi o maniscalchi, site nella strada Foria, nella piazza Nuova Foria, nella piazza Tribunali, al largo Cavalcatojo, al largo Sant'Anna, al ponte di Casanova, portano in loco una notevole vivacità di uomini e di animali. Scandiscono suoni alternati i colpi degli operai impegnati nelle sette botteghe addette alla riparazione delle carrozze e gravitanti nel largo Carriera grande, in piazza Tribunali, nelle strade Carbonara e Santa Sofia.Il vico Vasto a Capuana e la stessa strada Capuana effondono in un vasto raggio l'acre odore proveniente dalle tre botteghe di baccalà e di stoccafisso qui ubicate. Questa sezione municipale accoglie infine undici stalle per capri, allocate nelle seguenti arterie viarie: strada Foria, vico Lungo Sant'Antonio Abate, vico Trufolo, vico San Nicola dei Caserti, vico Verdi ai Caserti, cortile Sant'Antonio Abate, vico Zingari e vico San Biagio dei Caserti. Costituisce un capitolo a se stante lo stabilimento industriale, specializzato nella lavorazione della pelle di castoro e di altri tessuti, destinati, prevalentemente, agli uomini della truppa reale.
Nell'ambito dell'attuale dibattito culturale, divenuto particolarmente acuto quest'anno in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, non è fuor di luogo auspicare l'avvento di un clima più disteso e sereno, onde non rischiare di perdere definitivamente la nostra identità nazionale, già fortemente compromessa dalle frequenti manifestazioni avvilenti, scritte a diversi livelli con l'inchiostro del degrado assoluto. Se perdurasse siffatta temperie, ne perderemmo tutti indistintamente. E' l'ora, quindi, di attivare un confronto a vasto spettro che, gettando alle ortiche le vuote e sterili formule pronunciate da comode posizioni precostituite, agevoli un confronto su dati concreti e legati alla reale esperienza dei nostri padri. All'uopo può segnare un piccolo sentiero il tentativo di recuperare e riproporre la vera identità della nostra realtà locale, cittadina e provinciale, sulla scorta di diverse testimonianze sociali. Siffatto progetto operativo ha il merito, se non altro, di riappropriarci del nostro effettivo passato, toponomastico ed umano, colto nel suo fluire. Animati dal desiderio di conoscere le varie attività produttive lì allocate, ci addentriamo nella sezione napoletana Mercato, nell'anno 1858. Ne percorriamo l'intero perimetro, in tutta la sua vastità, annotandone le diverse strade, elencate di seguito: Fiumicello,ove operano un lanificio e una fabbrica di corde armoniche; Taverna delle Carcioffe, sulla quale c'è una fabbrica di puntine di Parigi o piccoli chiavistelli e di zappe; Largo Sant'Erasmo, contrassegnato dalla presenza di una fabbrica di pelli per suole; Congeria, lungo il cui percorso si stendono una fabbrica di cuoio ed un'altra di coperte di cotone; Largo Granile, donde si effonde per l'aria l'eco proveniente dalle macchine di una seteria, di una fonderia di ferro, di un'altra di piombo e di una fabbrica di pelli; Discesa del ponte, ove si segnala una congeria di pelli; Arenaccia,su cui si protende una fonderia di ferro; Vico sopramuro del Carmine, impreziosito dalla raffineria di oro e di argento; Vico Vitriera vecchia, vivacizzata dalla fonderia per la scopiglia o ceneraccio; Madonna delle Grazie di Loreto, ove spicca lo stabilimento per la pressione della rublia o robbia; Vico Maria delle Grazie Sovramuro, allietata dalla fonderia per la scopiglia; Piazza Fossi Nolana, sulla cui distesa si protendono due fabbriche per la lavorazione del gesso; San Cosimo che accoglie una fabbrica di gesso; Fossi, ove procedono a pieni motori due fabbriche di sapone; Carrera,Ferze al Lavinajo, Vico Celso a Loreto,Vico Orticello a Loreto, accomunate dalla presenza della rispettiva fabbrica di sapone; Calata ponte della Maddalena, ornata dai ritmi sistematici del lanifico; Largo di Sant'Erasmo, il cui perimetro abbraccia una fabbrica di sapone; Marinella, il cui diffuso stridio proviene da due fabbriche di stoviglie e da una di mattoni; Annunziata,ravvivata dall'andirivieni delle persone nelle due fabbriche di sedie che hanno l'esclusiva per tutta la provincia; San Pietro ad Aram, sede ufficiale di una fabbrica di coperte di cotone e di un lanifico, gestito dai padri Riformati. Tra gli imprenditori operanti in questa sezione si distinguono gli stranieri, il che denota l'indole del napoletano pronto all'accoglienza e alla tolleranza.
L'elenco, formato il 2 marzo 1804, dagli Eletti Carmine de Falco e Felice Ciccone, all'indomani di un delicato e critico momento di stasi amministrativa, rappresenta un importante documento storico, in quanto ci consente di conoscere un ramo importante degli abitanti di Saviano, ripreso nel primo e nel secondo ceto. Ne viene fuori un quadro interessante, in cui sfilano i "galantuomini" locali, colti nelle loro attività e chiamati a scendere in campo per imprimere il giusto passo operativo alle istituzioni. Con questo spirito entriamo nel vivo della cittadinanza, annotandone su un taccuino le rispettive identità di una parte ragguardevole della popolazione. A conclusione della fugace visita, ne trascriviamo per categoria i singoli rappresentanti. Dottori: Saverio Vecchione, Cosimo de Falco, Nicola Trocchia, Domenico Ferrari, Pascale Lauro, Giuseppe de Falco. Medici e chirurghi: Gennaro Ruoppoli, Antonio Marotta e Giuseppe Corj. Notari o notai: Emanuele de Lauro, Mario de Falco, Andrea Pecorelli, Francesco Marotta. Giudici a contratto: Michele Vecchione, Girolamo Perretta, Alessandro Mascia. Speziali di medicina: Nicola Simonelli, Gaetano Ruoppoli. Galantuomini non privilegiati: Michelde de Falco, Pascale Mascia, Domenico Ruoppoli, Carmine de Falco, Vincenzo Fortunato, Antonio de Falco, Francesco Fortunato, Nicola Ferrari, Felice de Falco, Nicola Ciccone, Michele Trocchia, Pascale de Falco, Giacomo Ciccone, Mario Trocchia, Antonio Mascia, Paolo Calabria. Massari e negozianti: Angelantonio di Falco, Eufesio di Falco, Nunzio Notare, Felice Notare, Giacomo di Falco, Lorenzo di Falco, Tommaso Notare, Vincenzo Trocchia, Giuseppe Tufano, Giacomo di Falco, Francesco Notare, Antonio Tufano, Giovanni Notare, Carmine di Mauro, Pietro Pizza, Felice Ciccone alias Palluottolo, Michele de Falco, Nicola de Lauro, Felice Semmoniello, Pascale Semmoniello, Andrea Allocca, Aniello Allocca, Francesco di Falco, Felice Calabria, Saverio Perretta, Antonio di Falco, Marco Forino, Francesco Forino, Nicola di falco, Andrea Sommese, Felice Sommese, Giovanni d’Allocca, Mario d’Allocca, Filippo Allocca, Giovanni Panarella, Aniello de Iuliis, Francesco de Iuliis, Aniello Caracciolo, Giuseppe Ciccone, Ignazio Tufano, Vincenzo Perretta, Felice Ciccone, Carmine de Falco, Saverio Marotta, Luigi Marotta, Luigi Perretta, Alessandro Marotta, Francesco Marotta, Pascale de Iulis, Simone Ambrosino, Pietro de Falco, Francesco Ciccone, Antonio de Iuliis, Saverio d’Angiò, Andrea d’Angiò, Francesco Vecchione, Michele Bencivenga, Michele Fusco, Nicola Luise, Rocco Bencivenga, Gabriele Vecchione, Giuseppe di Risi, Nicola Chiocciola, Salvatore Allocca, Domenico Pierro. Mastranza di diverse arti. Calzolai: Fiore d’Allocca, Francesco Pierro, Gioacchino Ferraro, Michele Pierro, Carmine di Giulio, Felice Ferraro, Antonio di Giulio, Tommaso d’Allocca, Saverio Tufano, Emanuele d’Allocca, Carmine Ciccone. Sartori o Sarti: Sabato Allocca, Girolamo Iovino, Antonio Maietta, Tommaso Napolitano, Giuseppe Sarno, Pascale di Falco, Francesco Ambrosino, Sebastiano Tufano, Bonaventuta Caccavale. Barbieri: Felice Ciccone, Felice Allocca, Vincenzo Vecchione, Giosué Caracciolo, Andrea Ciccone, Saverio Allocca. Muratori: Giacomo Bruscino, Pascale Bruscino, Antonio allocca. Falegnami: Rocco Bencivenga, Tommaso Perretta, Parisi Allocca, Raffaele Ciccone, Giacomo Perretta, Arcangelo Buonaiuto, Michele Bruscino, Antonio Perretta, Santolo Caccavale, Saverio Buonaiuto, Francesco Allocca. Ferrari: Giacomo di Domenico, Andrea di Consa, Carmine di Domenico, Giuseppe de Consa. Pettinatori di canape: Santolo Allocca, Francesco Ciccone, Alessandro Tufano, Vincenzo Allocca, Gennaro Tufano e Nicola Allocca.
1705. La fedelissima città della Cava supplicando espone a V. E. come da più di centinaia di anni si ritrova introdotta in essa città l’arte della seta in fabbricare ogni sorta di drappi e tingere ogni sorte di colori ed in particolare il nero, che è l’unico sostentamento dei suoi poveri cittadini, li quali sempre sono stati nel possesso di lavorare detti drappi e fare dette tende, conforme al presente si ritrovano. E come li odierni Consoli dell’arte della seta di questa città per alcuni loro caprici e fini particolari, sapendo che questi al numero di dieci o dodici devono portare le loro mercanzie dei drappi ascendentino a ducati ottantamila e più nelle fiere di Barletta, che si fa alli 11 del corrente mese di novembre, e in quella di Bari, che si fa alli sei dell’entrante mese di dicembre, minacciano di voler sequestrare detti drappi e mercanzie, supponendo stessero soggetti alla loro giurisdizione contro ogni dovere e ragione, cum reverentia. E perché l’arte della seta in detta città di Cava, da che si è introdotta, è stata indipendente da quella di questa Città, e loro consoli, conforme in altre città del Regno, e non potendo detti mercanti portare le loro mercanzie dei drappi ed altro, conforme al solito, in dette fiere, acciò del prezzo di esse potessero soddisfare li dovuti pagamenti maturati in dette fiere ai loro creditori, che sono mercanti in detta città della Cava, ed in questa di Napoli, porterebbero gran pericolo di fallire non meno essi che li loro mercanti creditori, e sarebbe la totale rovina di detta città della Cava e questa di Napoli per la comunicativa del negozio. Per ciò supplica V. E. di ordinare che si osservi il solito e che li detti mercanti per li con saputi drappi che devono portare in dette fiere non siano molestati da detti Consoli o altri, a fine di evitarsi le rovine di dette città e di tanti loro mercanti per detti pagamenti, mentre giovedì venturo cinque del corrente devono partire per dette fiere e l’osservanza di ciò commettersi alle Regie udienze di Montefuscoli e Trani in solidum che così osservino e facciano osservare ut Deus.
All'indomani della visita pastorale, effettuata, il 1739, nel feudo di Ottajano, il vescovo di Nola, mons. Troiano Caracciolo del Sole, non riesce a dimenticare l'eco assordante delle bestemmie e delle "canzoni blasfeme", nonché i segni marcati dell'ignoranza estrema di donne e bambini, indici speculari del degrado morale e sociale, vigente nel territorio di Terzigno.Onde risollevare l'ambiente, almeno, in termini di religiosità, egli affida, l'anno successivo, a cinque padri missionari della Congregazione della Casa della Solitudine di San Pietro a Cesarano l'incarico di svolgere colà una missione. I frutti spirituali della suddetta catechesi risultano immediati e salutari al punto che la popolazione terzignese manifesta l'esigenza insopprimibile di edificare in loco una chiesa, data la difficoltà logistica ed operativa a raggiungere quella più vicina di San Giuseppe, distante tre chilometri e, per giunta, oberata dal gravoso onere di attendere alla cura spirituale di ben simila anime, disperse nell'immensa "Campagna. Su siffatta legittima intenzione, però, si abbatte subito il veto incrociato del potere ecclesiastico e politico ottajanese, il quale, intravedendovi i pericolosi germi della nascita di una nuova identità cittadina, foriera di una futura disgregazione territoriale, è più che mai deciso a mettere in campo tutte le strategie ostative idonee, in modo da continuare a gestire in maniera verticistica ed "entro terra" anche la religione. Concorre ad ingrossare il coro della opposizione frontale anche la voce dei frati francescani del convento di San Gennaro di Palma, allarmati ad arte dal preoccupante assottigliamento del loro abituale bacino di utenza donde attingere le elemosine. La successiva visita pastorale, compiuta dal vescovo in persona, contribuisce a sbloccare d'autorità l'attuale impasse, giudicato surrettizio e privo di reale consistenza motivazionale, come dimostra, in maniera palmare ed inequivocabile, la fervida ed affettuosa ospitalità a lui riservata dallo stesso agente generale del Principe di Ottajano nella sua "casa di campagna". Le immediate consequenze del vittorioso intervento vescovile si avvertono il 16 maggio 1740, allorché operano con lena instancabile due missionari del suddetto ordine, don Angelo Bianco e don Agnello Cirillo, con un "fraticello laico", i quali utilizzano, provvisoriamente, un appannaggio di cento ducati e la piccola chiesa "privata" locale di San Francesco, "non più lunga che sedici palmi, larga dodici, e poco alta". La loro opera preziosa si estrinseca non solo nella calda ed eloquente diffusione del vangelo, accolto con entusiasmo gioioso da una folla sempre più straripante di fedeli, molti dei quali, non riuscendo a trovare posto nella chiesetta stracolma, si accontentano di sentirne la voce sotto una contigua "gran capanna di legno", costruita alla buona da alcuni volontari, ma anche dall'assistenza amorevole al capezzale di "infermi e moribondi", per il cui sollievo i religiosi percorrono "notte e giorno tre o quattro miglia per volta or in una parte or in un'altra". I ritmi incessanti di lavoro intenso spossano la gracile fibra fisica di don Agnello Cirillo il quale, colpito da "un fiero catarro di petto, è richiamato dai superiori in convento...... A questo punto lo scatto di orgoglio del vescovo di Nola, femo nel suo proposito di realizzare la costruzione della chiesa e della dimora per i missionari, porta alla ribalta della trattativa d'acquisto, avviata nei primi giorni del mese di gennaio 1742, dal procuratore Antonio Giuseppe de Luise, la proprietà terriera di Agostino Catapano, ubicata ai cosiddetti Catapani di Terzigno e pignorata dai creditori dall'anno 1662. La fase preliminare contempla la ridefinizione completa del bene in oggetto, eseguita, su disposizione del giudice Onofrio Scassa, dal "tavolario" del Sacro Regio Consiglio, Francesco Attanasio, con l'assistenza degli esperti di campagna locali, Giuseppe Carillo e Nicola Bifulco. La conseguente relazione, stilata il 6 aprile 1742, rettifica i dati catastali antecedenti, approntati dall'ingegnere Carlo Pepe e immessi nelle sue due perizie tecniche, datate, rispettivamente, 10 novembre 1671 e 8 luglio 1679. Sulla scorta del nuovo computo la distesa di terreno riacquista una sua precisa confinazione: a ponente la strada Ottajano - Scafati; a tramontana la strada vicinale, che "dalla strada pubblica conduce nei territori situati nella parte inferiore"; a levante i terreni di Carmine Minichino e di Aniello d'Arpaia; a mezzogiorno i terreni dei padri Camaldolesi del Sacro Eremo di Nola, nettamente delimitati dal lungo filare di "antichi piedi di cerque, lasciati anno per anno in tempo di puta, a capo di monaco".... ((Estratto dal libro di Luigi Iroso, Album di famiglia, Quaderni campani, San Giuseppe Vesuviano, 2003)).