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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nei tempi ordinari, quando una calma profonda tutela l’ordine pubblico, quando una scellerata fazione non scendesse a combatterci, noi approveremmo pienamente i clamorosi ruggiti della pubblica opinione, che stigmatizza i deputati infedeli al loro mandato, gli stolidi, i poco patriottici che preferirono il ministero al paese, i propri interessi alle pubbliche sventure, ma nei tempi attuali, quando tutte le forze borboniche convengono verso un solo scopo, quando noi siamo sul punto di scendere sulla piazza per difendere la libertà e l’indipendenza, in questo caso le dimostrazioni sono oltremodo pericolose. Noi d’altronde racconteremo i fatti del 1° agosto e poi francamente daremo il nostro giudizio. Il popolo a ragione sdegnato contro sciame di deputati infedeli al loro mandato avvisava di dare un segno della propria disapprovazione a quanti fra essi fossero giunti tra noi ed in fatti dopo aver ricevuto con suoni assordanti i primi arrivati, il popolo recossi la sera del primo agosto a rendere una visita clamorosa presso le case dei signori Vacca Senatore e dei deputati Pisanelli, Leopardi e Minervini: e qui ci fermiamo per domandare in qual modo si associasse il nome di Minervini a quelli di Vacca, dei Leopardi e dei Pisanelli? Vacca faceva parte della consorteria, Pisanelli e Leopardi n’erano i principali manubri, ma l’avvocato Minervini perché fu confuso coi dottrinari. Minervini votò con l’opposizione, ebbe più volte troncata la parola a Torino dall’impertinenza della maggioranza: ed a Napoli ha dovuto anch’esso subire la dura lezione inflitta ai Leopardi ed ai Pisanelli? Ma raccontiamo. Una folla di cittadini dunque rendeva in prima sera una chiassosa visita al Senatore, ed ai deputati ciascuno portava strumenti di cucina ed all’armonia discordante degli improvvisati senatori si univano i fischi e gli urli dei monelli: il baccano era veramente infernale: ma questa volta il popolo con molto buon senso aveva espresso il proprio giudizio sul Senatore Vacca e sul Leopardi. Un cartellone a stampa diceva: Vacca è MASSARI DEL SENATO !!! Leopardi (leggevasi in altro foglio) alle invocate provvidenze contro la reazione rispose: E’ IL RONZIO DEGLI INSETTI. Ed il popolo lo dichiara un braccio della consorteria. I deputati Pisanelli, Leopardi ed il Senatore Vacca ebbero la lezione che si meritarono coi loro voti servilissimi e con l’aver conosciuto i bisogni del paese e prodigando encomi al sig. Minghetti, ministro dell’interno, che ha condotto il paese verso la propria ruina .... I nostri deputati della maggioranza si mostrarono indegni del mandato ricevuto, nemici affatto della contrada ove sono nati, il disprezzo pubblico gl’incalzi, siano fuggiti come gli infetti della pestilenza, gli elettori si riuniscano e gl’infliggano l’onta di rivocare il mandato, la quale determinazione se non produrrà effetti legali per certi uomini dalla fronte di bronzo, mostrerà all’Europa essere gli italiani del mezzogiorno più che adulti nella vita parlamentare ed infliggerà sui pessimi deputati le stigmate della riprovazione pubblica, molto più terribile d’una fugace dimostrazione. Uniti, vigilanti, salviamo il paese, torniamo allo stato normale, e allora potremo divertirci con le campane fesse, con le padelle, le cazzeruole, ma oggi silenzio ed ordine, diamo tutta la libertà d’azione alla polizia, perché possa seguire le sole trame dei nostri nemici, per sventarle e liberarci una volta per sempre da questi incorreggibili adoratori del passato i quali ci credettero già vinti dal vederci assonnati e neghittosi (Dal giornale "La democrazia").
Napoletani. Non più trepidazione, non più diffidenza, la nostra causa è vinta, il nostro trionfo è assicurato, la politica tenebrosa ha squarciato il velo e noi chiaramente vediamo al presente il nostro destino. L’alba del 1863 ci è foriera di quella vita che abbiamo civilmente perduta e di quella libertà che chiaramente ci è stata rinfacciata. Napolitani, tutta la Diplomazia europea ha conosciute le occulte trame di questa setta infernale che ci ha per lo spazio di 28 mesi orrendamente travagliati, tutti i Principi di Europa hanno compreso che in mezzo a questa setta si apparecchiano i revolver e si affilano i pugnali che minacciano loro la vita; tutti gli uomini onesti del Mondo hanno appreso finalmente quale schernevole libertà ci sia venuta da Torino. Il numero di trenta mila fucilati, il cui sangue grida vendetta , le prigioni stivate di più che 100 mila carcerati politici per mancanza di spazio cacciati fin nei sepolcri; le esorbitanti tasse che hanno depauperato il nostro paese, il saccheggio dei nostri tesori e dei nostri monumenti nazionali, tutto si è posto nella bilancia delle giustizia e si è conosciuta l’infamia perpetrata sotto il nome di fratellanza contro questo Regno infelice. Non più trepidanza, non più timori che questo edificio di fango, che appellano unità è pria che compiuto, precipitato. Iddio ha posto la confusione in mezzo a loro; essi sono discordi, sono confusi, sono avviliti. Hanno perduto sin anche l’appoggio di quei pochi tristi che l’acclamarono; poiché i nefandi fatti compiuti hanno disilluso i più ciechi e restii. La Francia è pel Papa, non è più per essi. L’Inghilterra pensa ai suoi interessi. La Russia, la Prussia, la Confederazione Germanica e la Spagna hanno finalmente accolto le nostre querele e ci hanno promesso giustizia. L’Austria accampa coi suoi eserciti nel Quadrilatero e fa impallidire i tronfi bombardatori di Gaeta, gli Eroi del Garigliano. In chi possono essi fidare? Nelle proprie forze forse? Non temete, o Napolitani, che eccetto la frazione Piemontese, l’esercito è tutto nostro; stanco di più servire a questa canaglia atea ed insolente l’Esercito aspetta con ansia il momento di venire alla lotta per rivolgere le armi contro questi beffardi oppressori delle Patrie loro e stendere con affetto la mano a quei valorosi volontari che combattendo sui nostri monti sostengono animosi l’Indipendenza Napoletana ......
Accogli, o diletto primogenito Figlio del magnanimo, forte ed illuminato Re Guglielmo, i sensi di sincera devozione e di profondissimo ossequio, che si fanno un dovere tributarti quanti sono i figli di Partenope, educati alla morale, alla onestà, alla Religione! Eglino compresi di ammirazione per l’Augusto Genitore, principe venerando in Europa per le preclare virtù di mente e di cuore, onde più splendido e glorioso à reso l’avito Trono di Prussia; principe forte e vero Padre della Patria, che inspirandosi nello eterno diritto à saputo fermare i limiti fra la onesta libertà e l’ordine, sostegno necessario e guarentigia d’ogni società, ond’é salutato dalle simpatie di tutti gli onesti iride di pace fra la tempesta del secolo, arra di lieto avvenire per la sconvolta Europa; eglino sì riconoscenti e fiduciosi si inchinano a te, degno figlio ed Erede di tanto sovrano e il bene arrivato in questa loro diletta Napoli ti presentano! O Principe, deh sia felice il tuo soggiorno fra noi! Questo limpido cielo, queste ridenti colline, il profumo dei fiori e l’azzurro del mare ti allietino! Ah questo solo può Napoli presentarti, perocché, ahi troppo sventurata! È stata travolta dalla piena lutulenta della rivoluzione, derubata delle sue ricchezze, scoronata del serto di Regina, immiserita d’ogni sua prosperità, e da signora di floridissimo reame ridotta vile mancipia dei subalpini proconsoli! Ahi! La nostra passata grandezza e felicità è per noi troppo importuna rimembranza di quel che fummo e più ancora aggrava la presente nostra misera condizione! Perdona, o Augusto, se funestiamo la tua mente parlandoti delle nostre sventure! Il tuo cuore tanto generoso pei miseri ce ne dà dritto! O magnanimo Signore, deh non attristarti alla vista delle nostre calamità, riversate dalle sette infernali in queste, un dì, fiorenti contrade! Ma quando farai ritorno presso l’Immortale Genitore ricordati della nostra desolazione, ricordati di noi!! Gli dirai che Napoli è travolta nel pianto, oppressa da feroce dominazione, avvilita, deserta! Gli dirai che sono ancora fumanti le rovine di ventisette nostre Città, bruciate dal furore piemontese ….
Salve Principe della Britannica Gioventù! Salve! E sii il bene Arrivato fra noi Napoletani, bersaglio di sciagurata fortuna! Corre ormai il triennio dacché furenti proconsoli, sbucati dalle sabaudi frane, famelici e ingordi, favoriti dai Duci di tradite schiere, da cortigiani d’inique menti, da comprati Consiglieri e da odiate armi e bugiarde bandiere di terrore e di morte, dilaniano la bella Partenope, ne scorrono le infelici province, vi operano stragi, distruzioni e rovine; e fumanti di largo e caldo sangue, ora particolarmente ne inzuppano le terre a capriccio di spietati e crudeli Comandanti e financo di brutali subalterni, che vi uccidono mariti spose e figli, vi rubano comunali patrimoni, incendiano paesi, villaggi, case e campagne, armenti e masserizie e vi distruggono industrie ed arti e quanti sono germi di sussistenza e di vita: Diventati schiavi senza colpe, umiliati noi e traditi, siamo soccombenti sotto leggi barbare e disadattate: sopracaricati d’insopportabili balzelli; insidiati da costumanze perniciose: contaminati da sozzure piemontesi: esclusi da ogni pubblica lucrosa ingerenza: espulsi da sudate carte, e da ben meritati impieghi!! … Che più Serenissimo Principe? Un tesoro pubblico più ricco e fiorente, vuotato tutto intero ed ogni dì vieppiù sterilito: un credito pubblico condannato a sicuro imminente fallimento: Una vicinissima carta moneta già annunziata: un’Amministrazione neghittosa ed infingarda in questa Città ed in questo regno, ove l’oro e l’argento abbondavano e rendevano la prosperità e il benessere al nostro popolo: ora privati noi dell’oro e degli argenti, compriamo miseramente la vita con una monetazione da pezzenti, brutta, adulterata, non valente, odiata, schernita, schifata dal popolo: ed il più tristo, con essa compriamo fra il colpevole indifferente sonno di venduti cospiratori Municipali, a carissimo non mai visto prezzo, una languente esistenza, annichilita vieppiù, ed ogni dì crescente per ogni specie di angarie, di soprusi e di vessazioni di sbrigliati, insuperbiti ed anche armati amministratori, pubblicani e venditori … Che più? Umanissimo Principe? … Privati di una gioventù fiorente, di figli unici, di uomini maritati, strappati tutti a forza, senza sorteggi e senza leggi alle lettere, alle leggi, alle arti, ai bisogni delle famiglie, li vediamo trascinati ogni dì ad accrescere con essi un esercito indisciplinato, ampolloso e lontano, per farne accozzaglie affamate, dormienti senza paglia in nuda nevosa terra, con un sol soldo il dì e per servire, non da militari onorevoli, ma più che gregari conquistati ed incatenati in una guerra a Dio o ad un nemico ignoto. Non v’ha fra noi una famiglia, un uomo che non piangano una ferita, una piaga, una morte: lutto universale, che per molti anni darà privazione e tormenti …….
Io le scrivo da Isola di Sora importante comune del Napolitano posto all’estrema frontiera del Regno che tocca i confini meridionali dello Stato Pontificio e distante non più di un chilometro e mezzo da Castelluccio che nel giorno cinque del mese volgente fu saccheggiato e in parte incendiato da quei briganti che scorazzavano liberamente su pei monti che separano il nostro territorio da quello del Papa. Fino a qualche mese addietro la riunione di pochi briganti assoldati dal Borbone e raccolti sotto la bandiera di Chiavone non dava grandi apprensioni alle nostre popolazioni, per lo che il valore dei nostri soldati ci assicurava contro qualsiasi tentativo dal lato di quei banditi, ma la presa e l’incendio di Castelluccio, il saccheggio e l’incendio di San Giovanni Incarico (a), il correre audace di costoro da un punto all’altro delle nostre frontiere, senza che le nostre truppe continuamente in marcia valessero ad impedirlo, ha scoraggiato l’animo di ognuno, e si palpita ad ogni istante che quei medesimi eccessi di Castelluccio e San Giovanni Incarico si ripetano, quando meno si crede in più grandi proporzioni sopra altri paesi più importanti e singolarmente sopra questa mia patria Isola di Sora , sopra Sora e quante altre città o borghi si distendono lungo la frontiera. E questo timore non è già senza reale fondamento. I pochi briganti di Chiavone ora sono divenuti moltissimi ed ogni dì se ne aumenta il numero con le continue spedizioni che muovono da Roma, la Coblenza dell’età nostra. Se ne contano presso a quattrocento in sui monti di Fondi poco lungi da Terracina, altrettanti verso Carsoli nella frontiera dell’Abruzzo Ulteriore e circa 300 sui monti tra Veroli e Sora. Nuovi rinforzi giungono di giorno in giorno, e quando fra non molto saranno tutti raccolti ed ordinati cominceranno le loro operazioni lungo tutta la linea dei confini............ Per dimostrare poi l’importanza che ella deve attaccare al brigantaggio di queste contrade basterà solo che le accenni che nella notte del 22 al 23 del mese corrente furono catturati (ed abbia questa notizia come ufficiale) dalla guarnigione francese stanziata in Veroli 150 briganti sul territorio fra Veroli ed Alatri ove attendevano altri rinforzi da Roma per indi muovere ad ingrossare la banda di Chiavone sui nostri confini. Non ancora erano giunte tutte le armi spedite da Roma, ma pure avevano con loro venti fucili con bajonette, due cannoni da campagna con le corrispondenti munizioni, 50.000 cartucce, istrumenti cerusici ed una farmacia militare. Erano fra essi sei Uffiziali. Ora sono in Veroli prigionieri dei Francesi: ma io ho pure fermo che saranno consegnati alle autorità pontificie, e quindi immediatamente liberi perché ritornino immantinente a rafforzare l’esercito della reazione. Mi servo di questa espressione perché è quella che meglio conviene a rendere la mia idea. Queste bande che prima erano scarse e male ordinate e che ora si fanno numerose e disciplinate, che prima non avevano direzione ed erano male armate ed ora hanno Ufficiali esperti, armi perfezionate , cannoni, munizioni a dovizia, ufficiali sanitari, queste bande non sono più i pochi briganti che un tempo seguivano Chiavone o Mattei o Giorgi , o altri capi di siffatta risma, ma sono un’accozzaglia di banditi di tutte le parti del mondo e formano l’avanguardia della reazione europea che cerca scagliare i primi colpi in un terreno mobile per suscitare una guerra civile prima in Italia e poi in altre parti di Europa, dalla quale lotta i principi di legittimità potrebbero uscire trionfanti, e le cadute dinastie e l’agonizzante papato risorgerà un’altra volta e dominare come per lo passato.... Vedrebbero rinnovarsi a loro danno i saccheggi, gli incendi e le uccisioni di Castelluccio, d’Isoletta, di San Giovanni Incarico. Tocca al Governo scongiurare tanti pericoli, ad esso incombe procedere energicamente alla nostra sicurezza. Mandi dunque più armati in questo confine, faccia disporli, non già in paesi interni, ma in quei che sono propriamente nell’estrema frontiera; vi associ dell’artiglieria, non si dimentichi organizzarvi un servizio di cavalleria per corrispondenza e pattuglie. E tutto sia presto, perché le nostre condizioni sono gravissime, e sono in forze le nostre vite e le nostre sostanze..... Isola di Sora, 24 novembre 1861.
- Nel momento il generale Garibaldi è nel Cilento dopo aver sostenuto le sue milizie due fatti d’armi presso Reggio con le truppe regolari, uscendone come al solito vittorioso. – Mercoledì sera il chiarissimo cittadino Giovanni Nicotera è stato in Salerno, ove si recò per ordine di Garibaldi. Egli spedì messi in Napoli e subito ripartì alla volta del nostro Eroe. – La stessa sera di mercoledì l’infame consorteria rattazziana faceva arrestare varii deputati, fra i quali Fabrizij e Mordini che si trovano nel Castello dell’Uovo: ecco in che modo i signori governanti trattano i rappresentanti dell’Italia, che sangue, denaro, averi tutto ànno profuso per la patria! Ma l’ora della intera redenzione è suonata: o a Roma con Garibaldi o morte. – E’ tanto il terrore che l’Uomo della Provvidenza, l’Eroe Garibaldi à messo nelle vene dei pagnottisti, che dal Lamarmora in giù, non pochi consortisti àn fatto il loro fagotto e sono pronti ad imbarcarsi non appena che Garibaldi sarà in Napoli, che come pare dovrebbe trovarvisi non più tardi di lunedì 1 settembre. Fra i tanti a partire ci è Carlo Aveta ed il segretariuccio d’Amore. – Ieri correvano le più strane dicerie per Napoli, Francesi ai confini, Bavaresi e simile canaglia nelle Puglie, ma ora che Garibaldi è con noi non paventiamo nessuno. Il Sire di Francia à ora da fare col leone e non con l’anima venduta d’un Rattazzi. – Il governo sta trattando i prodi del Volturno come assassini e peggio. Egli si serve dei postali per mandar truppe in queste province, privandoci così di ogni corrispondenza, ma noi che vogliamo l’Italia una ad ogni costo non ci arresteremo in faccia alle bajonette, che ci duole il dirlo, pur sono fratelli nostri, che contro noi l’impugnano ma per Dio ai Napoletani che sono veri e buoni Italiani non s’impera col fucile e col revolver e bene l’abbiamo mostrato nel fatto di martedì sera, in cui il sangue dei fratelli Calicchio à bagnato il suolo e domanda pronta e severa vendetta. – ..... – Un vapore mercantile, che aveva a bordo una compagnia comica diretta per Palermo, allorché è arrivato alle bocche di Capri, è stato costretto a ritornare nel porto per ingiunzione ricevutane dalla flotta inglese in crociera in quelle acque. --------------- Ecco il proclama che à pubblicato il generale Garibaldi al momento di lasciare Catania: Italiani, Il mio programma è sempre lo stesso. Voglio per quanto da me dipende, che il Plebiscito del 21 ottobre 1860 sia una verità, che il patto segnato fra Popolo e Re riceva piena esecuzione. Io mi inchino alla maestà di VITTORIO EMMANUELE RE Eletto dalla nazione, ma sono ostile ad un ministero che d’italiano ha solo il nome, d’un ministero il quale per compiacere alla Diplomazia ordinò nel mese di maggio gli arresti ed il processo di Sarnico, come oggi provoca la guerra civile nel mezzo giorno d’Italia per assicurarsi le buone grazie dell’imperatore Napoleone. Un ministero siffatto non può, non deve essere più oltre sopportato. Inganna il Re, lo compromette come fece col proclama del 3 agosto, coll’ostinato municipalismo spinge al distacco le province meridionali, tradisce la Nazione. La livrea di padrone straniero non sarà mai titolo di stima di onore per alcun ministero fra noi. Quand’io sbarcai in Sicilia, la generosa Isola stava sul punto di far sentire lo scoppio della sua disperazione...... L’amore e la buona amministrazione dovevano essere i fattori dell’Unità Italiana. I municipali prefersero l’opposta via. Odio seminarono e odio in larga dove raccolsero. Insensati! Vogliono, lo so, la guerra civile per aver campo di spegnere nel sangue l’avvenire della libertà e offrire vittime accetto sull’ara del dispotismo. Io non consentirò per altro che si compiano gl’immani desiderii. La formula del Plebiscito salvi un’altra volta l’Italia. Cessi ogni preoccupazione locale di fronte al gran concetto unitario....... Il pensiero e l’azione di tutti i patrioti s’hanno da volgere esclusivamente alla impresa liberatrice di Roma. Il resto a poi. A Roma dunque, a Roma. Su prodi del 48 e 49, su gioventù ardente del 59 e 60. Correte alla Crociata Santa. Noi vinceremo ...... Grandi speranze suscitammo nel mondo colla nostra rivoluzione. Bisogna più e più sempre giustificarle. Son certo che il popolo italiano non mancherà al suo dovere. Così fosse fin da ora a noi compagno il prode Esercito nostro. Italiani! Se qualche cosa io feci per la Patria, credete alle mie parole. Io sono deliberato o di entrare a Roma vincitore o di cadere sotto le sue mura. Ma in questo caso stesso ho fede che voi vendicherete degnamente la mia morte e compirete l’opera mia. Viva l’Italia! Viva Vittorio Emmanuele in Campidoglio! Giuseppe Garibaldi. Da Catania.
Fin dalla prima parte dell’Ottocento Capri viene inserita, al pari delle isole di Ischia, Ponza, Ventotene, Tremiti, Favignana ed altre tra le sedi deputate a fungere da domicilio coatto per delinquenti di ogni ordine e grado in omaggio al principio secondo il quale la riabilitazione umana viene facilitata lontano dal luogo abituale in cui si vive. Non sempre l’auspicio, sotteso al provvedimento legislativo, si realizza, stando alle risultanze generali del casellario giudiziario relativo a quanti ne subiscono l’esperienza concreta sulla propria pelle, screziata, per lo più, da successive prove carcerarie più dure e più sofferte. Non a caso la relegazione caprese, pur essendo soggetta ad una vigilanza assidua, non presenta alcunché di vessatorio, anzi obbedisce ad una serie di norme di rieducazione personale con l’aggiunta del sussidio di un carlino quotidiano pro capite ad ogni ospite della colonia, erogato anche dopo l’unità d’Italia. Ne vive in pieno le due stagioni politiche il Delegato della Pubblica Sicurezza, addetto alla direzione dei condannati al domicilio coatto, Augusto Cucchini, originario di Udine. Infatti, egli, proposto nel 1859 in questo ruolo, si vede prorogato nella carica dalle autorità del successivo regime e ne espleta gli oneri senza alcuna insolita preoccupazione. Eppure scoppia, nel bel mezzo di questa tranquilla tranche de vie, allietata dallo spettacolo paradisiaco dell’isola, un articolo velenoso, intitolato “Carica alla bajonetta” e pubblicato sul giornale “L’Arca di Noé”, n. 300, il 4 novembre 1864, a firma del direttore – proprietario P. Alessandroni. Il tono, altamente censorio, si risolve in un duro attacco alla onestà del Delegato, accusato di estorcere, anche con il ricorso alla violenza, ad ogni detenuto una parte del sussidio, come si evince dalla riproposizione dell’intero testo: “Esco in un momentino da Napoli e vado ad appollaiarmi su quell’omiopatico pezzo di terra circondato dalle acque salate, descritto da Cornelio Tacito, abitato da Tiberio, turlipinato (?) da Alessandro Dumas ed adibito dalla Legge Pica e da Ferdinando Bomba, come luogo di pena , parlo dell’isola di Capri. Da una delle più distinte e brave persone, che mi onora della sua amicizia, mi è stata regalata la presente descrizione fotografica dell’isola di Capri. Sappiate che questa descrizione è palpitantissima di attualità. Nell’isola attualmente vivono sotto il beneficio influsso del domicilio coatto una cinquantina di Siciliani ed una decina di Abruzzesi. Nel tempo della dominazione romana Capri era abitata da Sejano; oggi, invece di Sejano, Capri ha il piacere di chiudere nel suo ambito il Sig. Augusto Cocchini, Delegato di Pubblica Sicurezza; e vi so dire che il Sejano moderno non fa torto al Sejano antico. I Relegati, ossia coatti, percepiscono un carlino (pari a centesimi 42) al giorno. Il Signor Cocchini, speculando sulla sventura, ha trovato un modo facile e legale di diminuire di tre grana (pari a tredici centesimi) questo povero carlino. Se il coatto non si rassegna a questa camorra, il Signor Delegato Cocchino disfrena i dardi della sua amministrazione e povero chi ci capita. Oltre alla camorra, or ora divisata, sull’isola di Capri si ha il vezzo anche di bastonare; in effetti, nel giorno 25 ottobre 1864, le Guardie di Pubblica Sicurezza, dipendenti del Signor Cocchino suddetto, non saprei dirvi per quale pretesto, diedero le legnate (dico legnate) ad un certo Mazzola, Guardia Doganale”. L’interessato, ritenendosi offeso nella sua dignità di uomo, risponde immediatamente, il 10 novembre 1864, allorché viene a conoscenza dell’affronto, con un suo scritto, dal titolo “L’impostura e la bugia hanno le gambe lunghe” e dal sottotitolo “Risposta all’articolo Carica alla bajonetta dell’Arca di Noè n. 300”, nel quale bolla l’avversario “vile calunniatore” e l’articolo “infame a carico di galantuomini ”. Nello stesso tempo vi acclude a sua discolpa le testimonianze di tutti gli ottanta detenuti e di quanti prestano servizio al suo fianco. La sua segreta speranza di una netta rettifica o di una secca smentita dell’accusa con la rivelazione della fonte anonima si vanifica dopo tre giorni, allorché per l’isola si aggirano alcune persone ignote, intente ad interrogare i detenuti se davvero hanno percepito quanto dovuto. A questo punto la questione viene affidata alla magistratura e Capri entra, suo malgrado, nella cronaca per colpe non sue.
Se calpestando ogni diritto divino ed umano, volontario ti cacciasti nelle lordure della rivoluzione ed ora trascinato sulla sua corrente sei per la china a subirne la finale catastrofe; se dopo l’assassinio dei Sovrani e dei Popoli d’Italia per cui hai versato fiumi di sangue innocente, hai steso la mano sacrilega alla Casa di Dio e sui popoli traditi riducendo il nostro sventurato paese una squallida prigione di miseria, ti lusinghi colle riviste militari, con i viaggi e le procurate feste illudere ancora i Napoletani ad addormentarli nella dura servitù per puntellare il tuo usurpato e cadente potere ….. t’inganni.
Ad onta delle barbare leggi, dei voti satelliti che ti circondano e delle bajonette che supponi ti possano difendere … non siamo un popolo di schiavi, noi fra i ceppi ed il patibolo franco ti parliamo, come si conviene se un uomo che si è messo fuori da ogni legge.
Dopo lunghi anni di calamità e di dolorosa esperienza, l’illusione è svanita, l’inganno si è dileguato, il tuo riapparire fra noi equivale a quello d’infausta cometa apportatrice di nuove sventure che le piaghe sanguinanti dell’infelice Patria nostra rimuova!
Che dunque pretende da noi? Le nostre sostanze? Se si tutte rapite! La nostra proverbiale prosperità? Non vi è che lo squallore! La nostra gioventù per lanciarla in guerra fratricida? E’ tutta in armi per le campagne a pugnare contro la tua usurpazione! Le nostre acclamazioni? Le avrai se da ottantamila prigionieri politici, da duecentomila famiglie che hai ridotto alla mendicità, dal clero tutto incatenato e proscritto, da dieci milioni di uomini insomma cui non hai lasciato che l’ultimo anelito di vita e questo ti maledice ed impreca quale flagello di Dio.
Credi forse di regnare sulle nostre intestine discordie? Sappilo che se pur divisi in tutt’altro siamo però tutti concordi nell’odiarti, ché tutti hai tradito ed oppresso! Che se a tal grado di brutalità e di barbarie sei giunto da non sentire il rimorso delle tue nefandezze, onde hai emulato e vinto tutti i sovrani, tutti i più grandi scellerati della storia, non ti lusingare però che le feste ufficiali che per te si fanno collo stremo dei sudori e del sangue dei popoli o imposte dal terrorismo dei tuoi spietati manigoldi siano contrassegno di simpatia e pubblica gioia! No, sono un prato fiorito nel quale si nascondono velenosi rettili! Sono una amara ironia, un solenne oltraggio che gli stessi uomini del potere per sordido profitto o per covrire enormi furti, fanno alla tua odiata persona! Sappilo, l’Europa civile, la Diplomazia, il mondo intero hanno portato il loro severo giudizio sulle opere nefande del tuo infernale governo e sulle nostre giuste querele. Poc’altro e col nostro compiuto trionfo l’Italia sarà libera dalla sua importuna esistenza sappilo, non si conculca impunemente la giustizia né gli interessi e la pace dei popoli!
Dileguati dunque presto dal nostro sguardo ché questa classica terra tanto da te straziata sotto i tuoi passi ti ributta ed abomina! Dileguati mentre noi anche una volta abbiamo la soddisfazione di ripetere lo storico grido: viva l’Autonomia e l’Indipendenza delle Due Sicilie.
E dell’Eroe di Caprera chi potrà mai cancellare il portentoso nome nella storia di questo luminoso secolo, in cui mondialmente propagato echeggia l’inno del suo popolare attaccamento per l’italica autonomia sostenuta col sacrificio di tanti valorosi che traditi dall’usurpatore Savoiardo vanno profughi e raminghi per tutta la terra col veleno nel cuore aspettando impazienti il rombo della controrivoluzione per vendicarsi dei traditori piemontesi?
Ah si che il nome di Garibaldi vivrà in eterno nella successione dei secoli, tanto più che non amava l’adesione del Regno delle due Sicilie al Piemonte, di cui ne sa per l’indole usurpatrice dietro ne mosse controrivoluzione e ne fanno incontrastabile testimonianza i fatti d’Aspromonte ove fu schioppettato e ferito a morte per ordine dell’usurpato Savoiardo, che ne tradì le promesse.
Tra cotanti rinomatissimi seggi di patrii Eroi qual pubblicista patrio Scrittore sarà così di bassa lega, di corta vista, di labile memoria, di pertinace ritrosia da non annoverare al pro degli altri famosa rinomanza dal nome vittorioso di Carmine Donatello Crocco, che gli continuati di sua impareggiabile bravura col suo positivo coraggio e col guerresco genio dello spirito suo ha riportato per lunga serie di sanguinosi attacchi miracolose imprese su formidabile esercito con pochi inesperti giovani che lo circondavano ovunque?
Ah! Si che non è egli degno di essere annoverato tra i veri campioni del patrio valore nella storia odierna sul sempremai legale attaccamento all’italico trionfo.
E come no per Dio? Eccone inoppugnabile la verità dei primordiali suoi fatti.
Tuonò non appena di Garibaldi l’inno redentore, che al metallico elettrico rimbombo di quei incantevoli seducenti accenti il uso cuore si aprì alla gioia di trionfatrici universali italiche franchigie ed il uso petto fiammeggiò di patrio zelo a segno tale da prestarsi come garibaldino proselito messaggero del Comitato lucano, alto elevando il grido di viva l’Italia, via la cittadina libertà, viva Garibaldi prototipo dell’italico splendore.
Per quanto egli poté e valse in quei primieri rivoltosi rincontri non risparmiò sudori e fatiche di qua e di là accendendo ovunque il sacro fuoco della patria rivoluzione e sulla consolare di Auletta facendosi avanti al Dittatore Eroe ne meritò dallo stesso i personali applausi ne seguì le progressive conquiste finché cessato non appena la meridionale dittatura e squarciato il tenebroso velo al Savoiardo tradimento ben si avvide che all’intorno tutto se stesso offerto aveva sull’altare della Patria tradita e che in luogo di franchigia e libertà più servaggio ed oppresso rimaneva dalla piemontese tirannide l’italica contrada del Regno di Napoli, poiché aboliti si furono i dittatoriali decreti e non al più echeggiava l’inno di Garibaldi pel compimento della cominciata grande opera, né tampoco parlavasi di italianizzare i popoli ma invece di piemontizzare il regno delle due Sicilie e renderlo schiavo anziché libero sotto il gioco del savoiardo potere.
Vide bene egli fin d’allora che tradito si era stato ingiustamente e spogliato del suo legittimo trono Francesco II e con suo Genio dotato di preveggenza futura scoprì l’idea di usurpazione violenta di spoliazione dei popoli ingannati e previde la deplorabile catastrofe delle sventure che orrendamente annotta il cielo di Napoli oppresso sorriso da prima sotto il più bell’aspetto di paese di ricchezza nel governo dei sempremai religiosissimi Borboni.
In tali posizioni di deplorabili sventure non più pensò l’indomabile Genio di Carmine Crocco tenere di mira più oltre la garibaldina bandiera perché sciolti ed avviliti si erano i valorosi volontari e che egli medesimo colpito restava di mandato di arresto dopo tanti sparsi inconsiderati sudori.
E che far doveva in così inaspettato tradimento di crudele ingratitudine? A chi mai rivolgere doveva i suoi sanguinolenti sguardi? Le sue fallite speranze di libertà cittadina? A chi rivolgersi nei tumultuosi pensieri d’inganno inaudito nell’istoria dei tempi andati? A chi finalmente dedicare e consacrare il valore il coraggio del Suo conculcato spirito fremente di loro dovutagli vendetta?
Lo giudica chi ha fior di senno razionale patrio, lo giudica chi sente di onor personale di propria stima, lo giudica pure il repubblicano ardente, lo giudica chi ne ammira i suoi fatti compiuti, lo giudica ben giudicar lo saprà fra non guari d’Italia il prossimo istorico destino.
Nella tradizionale storia dei secoli campioni ed eroi appellati furono coloro che negli sconvolgimenti e cataclismi sociali seppero alta elevare la fama del loro nome sopra la sfera degli ultimi uomini segnalando le di loro prodezze portenti di Genio elevato e mai sempre con degni di ammirevole umano applauso. Per far si che un uomo del Cielo dotato di codesto Genio sublime e portentoso riscuotere possa meritare l’immortalità del suo nome e renderlo famoso alle future genti ed alle imperiture posterità l’è d’uopo che le sue gesta, le sue famose azioni siano universalmente note e manifeste sui pubblici giornali che contrassegnano e trascrivano tali fatti nella compilazione della patria storia. Immortali al vero ed imperituri di famosa rinomanza sono i nomi di Orazio Coclite, di Muzio Scevola, di Furio Camillo, di di Cassio e Bruto, di Siccio Dentato, di Coriolano e Collatino e di quanti altri mai invitti romani Eroi eternarono ai posteri i loro nomi nella Patria memoria per costantemente combattuto e sofferto ogni periglioso malanno. Lunga e quasi infinita sarebbe l’analisi cronologica di codesti umani Geni che in tutti i secoli e in ogni età alto levarono l’accento del loro nome immortale lasciandolo in retaggio ai futuri nipoti e concittadini fedeli, che in ricorrenza di tempo opportuno con entusiasmo patriottico accalorarci per imitare le patrie operate imprese. Epperò ogni Nazione, ogni Regno, ogni popolo, ogni villaggio o contrada viva sempre mai perenne ed immortale consacrò famosa la bravura, il coraggio l’eroismo, il patrio zelo e la costante leale fedeltà dei loro campioni e nella ricorrenza delle sociali riforme riaccesero nei petti dei concittadini l’ira e lo sdegno a riportarne dei conculcati diritti compiuta vittoria contro gli usurpatori. Quindi in ogni secolo i popoli oppressi nelle violenze delle rivoluzioni seguirono coraggiosamente l’uomo del Genio invincibile che di maggior acume ed intendimento dotato li precedeva, consigliava, dirigeva nel tumultuoso movimento rivoluzionario del patrio riscatto, affrontando con decisa determinata volontà, non solo i sanguinosi incontri ed attacchi, ma ancora la fame, il freddo, il gelo, l’intemperie delle stagioni, la privazione di ogni piacere nonché la morte medesima la più orrenda spietata, come Attilio Regolo per riscatto della Patria oppressa contro gli Africani, dopo tanti campestri sanguinolenti combattimenti fu dai medesimi seviziato , torturato, tagliate le palpebre degli occhi, del naso della bocca e tanti altri orrendi supplizi con una morte la più miseramente crudele e col suo proprio sangue salvò la patria e suggellò eterna la sua memoria. E chi per Dio in questo secolo decimonono ardisce negar per poco grato immortale ricorrenza ai campioni invitti della greca ancor fumante rivoluzione, che con tanto sangue stanno rinfrancando la terra dei Pericle, Milziade, Temistocle nell’Areopago città di Atene che per tanti secoli decorsi dettò leggi di civiltà alle europee contrade? Ah si che capi di così fatta greca rivoluzione vivranno immortali alle memorie delle loro succedenti posterità del greco progresso facendo scintillare la luce del primiero valore e splendore del sangue famoso dei greci Eroi. In questo secolo di popolari franchigie cittadine libertà chi potrà mai mettere in dimenticanza il valoroso nome di quei polacchi che fanno rosseggiare del loro proprio sangue le patrie zolle per affrancarsi dalla straniera tirannide orientale, seguendo le orme dell’invito Paniatocchi (sic) che gliene segnò con la sua morte la strada della polacca cittadina nazionale libertà?