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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Salve Principe della Britannica Gioventù! Salve! E sii il bene Arrivato fra noi Napoletani, bersaglio di sciagurata fortuna! Corre ormai il triennio dacché furenti proconsoli, sbucati dalle sabaudi frane, famelici e ingordi, favoriti dai Duci di tradite schiere, da cortigiani d’inique menti, da comprati Consiglieri e da odiate armi e bugiarde bandiere di terrore e di morte, dilaniano la bella Partenope, ne scorrono le infelici province, vi operano stragi, distruzioni e rovine; e fumanti di largo e caldo sangue, ora particolarmente ne inzuppano le terre a capriccio di spietati e crudeli Comandanti e financo di brutali subalterni, che vi uccidono mariti spose e figli, vi rubano comunali patrimoni, incendiano paesi, villaggi, case e campagne, armenti e masserizie e vi distruggono industrie ed arti e quanti sono germi di sussistenza e di vita: Diventati schiavi senza colpe, umiliati noi e traditi, siamo soccombenti sotto leggi barbare e disadattate: sopracaricati d’insopportabili balzelli; insidiati da costumanze perniciose: contaminati da sozzure piemontesi: esclusi da ogni pubblica lucrosa ingerenza: espulsi da sudate carte, e da ben meritati impieghi!! … Che più Serenissimo Principe? Un tesoro pubblico più ricco e fiorente, vuotato tutto intero ed ogni dì vieppiù sterilito: un credito pubblico condannato a sicuro imminente fallimento: Una vicinissima carta moneta già annunziata: un’Amministrazione neghittosa ed infingarda in questa Città ed in questo regno, ove l’oro e l’argento abbondavano e rendevano la prosperità e il benessere al nostro popolo: ora privati noi dell’oro e degli argenti, compriamo miseramente la vita con una monetazione da pezzenti, brutta, adulterata, non valente, odiata, schernita, schifata dal popolo: ed il più tristo, con essa compriamo fra il colpevole indifferente sonno di venduti cospiratori Municipali, a carissimo non mai visto prezzo, una languente esistenza, annichilita vieppiù, ed ogni dì crescente per ogni specie di angarie, di soprusi e di vessazioni di sbrigliati, insuperbiti ed anche armati amministratori, pubblicani e venditori … Che più? Umanissimo Principe? … Privati di una gioventù fiorente, di figli unici, di uomini maritati, strappati tutti a forza, senza sorteggi e senza leggi alle lettere, alle leggi, alle arti, ai bisogni delle famiglie, li vediamo trascinati ogni dì ad accrescere con essi un esercito indisciplinato, ampolloso e lontano, per farne accozzaglie affamate, dormienti senza paglia in nuda nevosa terra, con un sol soldo il dì e per servire, non da militari onorevoli, ma più che gregari conquistati ed incatenati in una guerra a Dio o ad un nemico ignoto. Non v’ha fra noi una famiglia, un uomo che non piangano una ferita, una piaga, una morte: lutto universale, che per molti anni darà privazione e tormenti …….
Accogli, o diletto primogenito Figlio del magnanimo, forte ed illuminato Re Guglielmo, i sensi di sincera devozione e di profondissimo ossequio, che si fanno un dovere tributarti quanti sono i figli di Partenope, educati alla morale, alla onestà, alla Religione! Eglino compresi di ammirazione per l’Augusto Genitore, principe venerando in Europa per le preclare virtù di mente e di cuore, onde più splendido e glorioso à reso l’avito Trono di Prussia; principe forte e vero Padre della Patria, che inspirandosi nello eterno diritto à saputo fermare i limiti fra la onesta libertà e l’ordine, sostegno necessario e guarentigia d’ogni società, ond’é salutato dalle simpatie di tutti gli onesti iride di pace fra la tempesta del secolo, arra di lieto avvenire per la sconvolta Europa; eglino sì riconoscenti e fiduciosi si inchinano a te, degno figlio ed Erede di tanto sovrano e il bene arrivato in questa loro diletta Napoli ti presentano! O Principe, deh sia felice il tuo soggiorno fra noi! Questo limpido cielo, queste ridenti colline, il profumo dei fiori e l’azzurro del mare ti allietino! Ah questo solo può Napoli presentarti, perocché, ahi troppo sventurata! È stata travolta dalla piena lutulenta della rivoluzione, derubata delle sue ricchezze, scoronata del serto di Regina, immiserita d’ogni sua prosperità, e da signora di floridissimo reame ridotta vile mancipia dei subalpini proconsoli! Ahi! La nostra passata grandezza e felicità è per noi troppo importuna rimembranza di quel che fummo e più ancora aggrava la presente nostra misera condizione! Perdona, o Augusto, se funestiamo la tua mente parlandoti delle nostre sventure! Il tuo cuore tanto generoso pei miseri ce ne dà dritto! O magnanimo Signore, deh non attristarti alla vista delle nostre calamità, riversate dalle sette infernali in queste, un dì, fiorenti contrade! Ma quando farai ritorno presso l’Immortale Genitore ricordati della nostra desolazione, ricordati di noi!! Gli dirai che Napoli è travolta nel pianto, oppressa da feroce dominazione, avvilita, deserta! Gli dirai che sono ancora fumanti le rovine di ventisette nostre Città, bruciate dal furore piemontese ….
Napoletani. Non più trepidazione, non più diffidenza, la nostra causa è vinta, il nostro trionfo è assicurato, la politica tenebrosa ha squarciato il velo e noi chiaramente vediamo al presente il nostro destino. L’alba del 1863 ci è foriera di quella vita che abbiamo civilmente perduta e di quella libertà che chiaramente ci è stata rinfacciata. Napolitani, tutta la Diplomazia europea ha conosciute le occulte trame di questa setta infernale che ci ha per lo spazio di 28 mesi orrendamente travagliati, tutti i Principi di Europa hanno compreso che in mezzo a questa setta si apparecchiano i revolver e si affilano i pugnali che minacciano loro la vita; tutti gli uomini onesti del Mondo hanno appreso finalmente quale schernevole libertà ci sia venuta da Torino. Il numero di trenta mila fucilati, il cui sangue grida vendetta , le prigioni stivate di più che 100 mila carcerati politici per mancanza di spazio cacciati fin nei sepolcri; le esorbitanti tasse che hanno depauperato il nostro paese, il saccheggio dei nostri tesori e dei nostri monumenti nazionali, tutto si è posto nella bilancia delle giustizia e si è conosciuta l’infamia perpetrata sotto il nome di fratellanza contro questo Regno infelice. Non più trepidanza, non più timori che questo edificio di fango, che appellano unità è pria che compiuto, precipitato. Iddio ha posto la confusione in mezzo a loro; essi sono discordi, sono confusi, sono avviliti. Hanno perduto sin anche l’appoggio di quei pochi tristi che l’acclamarono; poiché i nefandi fatti compiuti hanno disilluso i più ciechi e restii. La Francia è pel Papa, non è più per essi. L’Inghilterra pensa ai suoi interessi. La Russia, la Prussia, la Confederazione Germanica e la Spagna hanno finalmente accolto le nostre querele e ci hanno promesso giustizia. L’Austria accampa coi suoi eserciti nel Quadrilatero e fa impallidire i tronfi bombardatori di Gaeta, gli Eroi del Garigliano. In chi possono essi fidare? Nelle proprie forze forse? Non temete, o Napolitani, che eccetto la frazione Piemontese, l’esercito è tutto nostro; stanco di più servire a questa canaglia atea ed insolente l’Esercito aspetta con ansia il momento di venire alla lotta per rivolgere le armi contro questi beffardi oppressori delle Patrie loro e stendere con affetto la mano a quei valorosi volontari che combattendo sui nostri monti sostengono animosi l’Indipendenza Napoletana ......
Nei tempi ordinari, quando una calma profonda tutela l’ordine pubblico, quando una scellerata fazione non scendesse a combatterci, noi approveremmo pienamente i clamorosi ruggiti della pubblica opinione, che stigmatizza i deputati infedeli al loro mandato, gli stolidi, i poco patriottici che preferirono il ministero al paese, i propri interessi alle pubbliche sventure, ma nei tempi attuali, quando tutte le forze borboniche convengono verso un solo scopo, quando noi siamo sul punto di scendere sulla piazza per difendere la libertà e l’indipendenza, in questo caso le dimostrazioni sono oltremodo pericolose. Noi d’altronde racconteremo i fatti del 1° agosto e poi francamente daremo il nostro giudizio. Il popolo a ragione sdegnato contro sciame di deputati infedeli al loro mandato avvisava di dare un segno della propria disapprovazione a quanti fra essi fossero giunti tra noi ed in fatti dopo aver ricevuto con suoni assordanti i primi arrivati, il popolo recossi la sera del primo agosto a rendere una visita clamorosa presso le case dei signori Vacca Senatore e dei deputati Pisanelli, Leopardi e Minervini: e qui ci fermiamo per domandare in qual modo si associasse il nome di Minervini a quelli di Vacca, dei Leopardi e dei Pisanelli? Vacca faceva parte della consorteria, Pisanelli e Leopardi n’erano i principali manubri, ma l’avvocato Minervini perché fu confuso coi dottrinari. Minervini votò con l’opposizione, ebbe più volte troncata la parola a Torino dall’impertinenza della maggioranza: ed a Napoli ha dovuto anch’esso subire la dura lezione inflitta ai Leopardi ed ai Pisanelli? Ma raccontiamo. Una folla di cittadini dunque rendeva in prima sera una chiassosa visita al Senatore, ed ai deputati ciascuno portava strumenti di cucina ed all’armonia discordante degli improvvisati senatori si univano i fischi e gli urli dei monelli: il baccano era veramente infernale: ma questa volta il popolo con molto buon senso aveva espresso il proprio giudizio sul Senatore Vacca e sul Leopardi. Un cartellone a stampa diceva: Vacca è MASSARI DEL SENATO !!! Leopardi (leggevasi in altro foglio) alle invocate provvidenze contro la reazione rispose: E’ IL RONZIO DEGLI INSETTI. Ed il popolo lo dichiara un braccio della consorteria. I deputati Pisanelli, Leopardi ed il Senatore Vacca ebbero la lezione che si meritarono coi loro voti servilissimi e con l’aver conosciuto i bisogni del paese e prodigando encomi al sig. Minghetti, ministro dell’interno, che ha condotto il paese verso la propria ruina .... I nostri deputati della maggioranza si mostrarono indegni del mandato ricevuto, nemici affatto della contrada ove sono nati, il disprezzo pubblico gl’incalzi, siano fuggiti come gli infetti della pestilenza, gli elettori si riuniscano e gl’infliggano l’onta di rivocare il mandato, la quale determinazione se non produrrà effetti legali per certi uomini dalla fronte di bronzo, mostrerà all’Europa essere gli italiani del mezzogiorno più che adulti nella vita parlamentare ed infliggerà sui pessimi deputati le stigmate della riprovazione pubblica, molto più terribile d’una fugace dimostrazione. Uniti, vigilanti, salviamo il paese, torniamo allo stato normale, e allora potremo divertirci con le campane fesse, con le padelle, le cazzeruole, ma oggi silenzio ed ordine, diamo tutta la libertà d’azione alla polizia, perché possa seguire le sole trame dei nostri nemici, per sventarle e liberarci una volta per sempre da questi incorreggibili adoratori del passato i quali ci credettero già vinti dal vederci assonnati e neghittosi (Dal giornale "La democrazia").
L’Italia ha il primato degli omicidi, diceva un mese fa il Ministero in una sua statistica, e il Times allora si rise di Vincenzo Gioberti e dell’antico primato morale e civile degli Italiani. Ma i primi a rendersi rei di omicidio sono i deputati del regno, sono i nostri legislatori! In brevissimo tratto di tempo due onorevoli vennero accusati d’omicidio: il deputato di Teggiano, Matina Giovanni, e il deputato di Militello, Maiorana – Cuccuzzella Salvatore. E tanto l’uno quanto l’altro sono deputati antichi, che già presero parte a tre legislature, l’ottava, la nona e la decima. Che se noi volessimo giudicare dei deputati come essi dei preti, trovandone tra quattrocentodue omicidi, ognuno pensi che cosa potremmo darne! Ma il peggio è l’impunità che sembra volersi accordare a questi omicidi onorevolissimi. Il deputato Maiorana – Cuccuzzella fu bensì arrestato, non essendo aperta la Camera, ma oggi che ripigliò i suoi lavori, incominciano le formalità e le discussioni se l’omicida sia stato o no legalmente arrestato! Il procuratore generale di Catania indirizzò al guardasigilli la seguente domanda che egli trasmetteva ai deputati nella tornata del 23 novembre. Il 26 novembre i deputati, riuniti in Comitato provato, invece di accordare subito ogni licenza, nominarono una commissione che domanderà gli atti del processo, li esaminerà e deciderà il da farsi. Come? Un povero giovane, Francesco Lacanà, è stato trucidato; i più gravi indizi pesano su di un deputato, e voi esitate, o onorevoli, a permettere il processo? Ma non dovreste essere i primi a provocarlo? Non ne va di mezzo l’onor vostro ed il bene di tutti? Il deputato Matina, che a forza di lungaggini si lasciò fuggire, non vi è bastante rimprovero? E poi direte che son gli antichi Governi la ragione di tanti omicidi che si commettono in Italia! Passi l’impunità accordata ai deputati che uccisero i loro avversari in duello; passino gli indugi del processo Lobbia, che, secondo il tribunale non arrecò male che a se stesso democraticamente assassinandosi; ma il fatto di Militello è così orribile, così scandaloso che richiede un pronto e solenne processo, e noi lo pretendiamo in nome della morale e della giustizia (Unità cattolica, 28 novembre 1869).
Lunedì (16 maggio 1862) vedevasi spettacolo miserando ed atroce – meglio che 50 cittadini, ammanettati, pervenire ordinati in lunga catena, da Salerno; e condotti, come ad insulto della legge, nella Questura di Napoli, ed ivi così legati, rimanere nel cortile senz’avere dove posare, dove sedere; per poi passare la notte in carcere. Fra essi vedevi uomini di ogni età, di ogni condizione, godere la eguaglianza dei ferri nei polsi, ed affratellati così a due a due! Compiva questo quadro desolante una quantità di donne di ogni età, giovinette sedicenni, delle pregnanti, e di quelle con bimbi al seno e le culle per bagaglio! Tutti erano dal Prefetto Bardessono mandati a domicilio coatto, per la famosa legge Pica, della quale si è usato ed abusato ad esuberanza. Se fra quella gente vi fossero dei veri manutengoli, ignoriamo; ma che di certo le femmine ed i bimbi fossero così trattati, è un oltraggio alla giustizia, all’umanità – e mostra l’incapacità di quel Prefetto, che avendo un esercito quasi nella sua provincia, non sa snidare i briganti e teme delle donne! Fra quei cittadini legati ed ammanettati faceva meraviglia il riconoscere il Sindaco e ad un tempo Giudice Supplente Rascio, il sig. Scipione Ronsini noti liberali e benemeriti della patria; e se il sig. Bardessono ha in questi altri ammanettati, puniti uomini, come il sig. Rascio e Ronsini, è da credere che gli sia entrato nella mente il pensiero di emulare e sorpassare i fasti della polizia borbonica. Perché si abbino il pubblico ed il ministero notizia del vero, diremo del sig. Ronsini i particolari, riserbandoci dire quelli di esso Rascio. Per ora diremo sul conto di esso Rascio che la giunta municipale del suo paese certifica non solo di aver contribuito all’attuale ordine di cose, ma di essere stato attendibile politico sotto il passato governo. Scipione Ronsini, fin dal 1847 era per fede politico unitario. Nel 1848 si pose alla testa di una colonna insurrezionale col comitato del Vallo per rivendicare la libertà del paese contro la mala signoria. Ebbe indi 12 anni della sua efferata persecuzione borbonica. Nel 1860 a sue spese formò una colonna di 95 uomini ed aggiunse a quella 24 volontari ed andò ad ingrossare le file sotto Capua contro l’esercito borbonico. Nel recarsi a raggiungere la sua colonna fu derubato di quanto aveva per essere stato assalito dai ladri al luogo detto Tomba del Capitano; ed è storico e noto a tutti i Vallesi! Nello steso anno riusciva a sventare nel Caffè d’Italia una cospirazione infernale contro il re Vittorio Emmanuele, ordita in via Foria: fatto che gli stessi moderati non ignorano. Egli curò la presentazione di un numero considerevole di sbandati del Comune di Rofrano. Discopriva e sventava una reazione organata, dandone notizia al delegato sig. Guarracino: erano oltre 60 i congiurati e ne furono molti arrestati …………. Non ha guari il sig. Bardessono recavasi in un paese, (se non andiamo errati Acerno) e volendo fare ivi molti arresti e non potendolo, senza il parere della Commissione se non poteva avere tale parere, perché non sapeva egli stesso chi dovesse arrestare, e perché) disse alla Commissione: datemi il voto di fiducia; e docili e docili i componenti della Commissione s’inchinarono e dettero il voto di fiducia! Ritornava il Bardessono da colà, seguito da gente di ogni età e di ogni sesso, ammanettati e legati: e arrivato al suo palazzo in Salerno, discese e fece in aria di fatuo trionfo, passare innanzi a sé quei mal capitati: Da questo stato di cose, l’incognita del nostro problema, interno, spaventa ogni animo onesto e liberale.Dio salvi il paese ….
La chiesa parrocchiale di Torre Annunziata, intitolata alla Santissima Annunziata, viene affidata ai monaci dell'ordine dei Celestini da Nicola di Alagno, feudatario di Rocca Rainola e di Torre Annunziata, secondo le linee del rogito stilato, il 29 novembre 1498, dal notaio Geronimo de Tossis. Infatti, l'ordine monastico si impegna a curare spiritualmente le anime torresi, ad esprimere due sacerdoti ed un chierico, addetti alla celebrazione delle messe e dei doveri religiosi, a somministrare i sacramenti ai fedeli, a donare al vescovo di Nola un "castrato" con le corna d'oro, simbolo dell'obbedienza, in occasione della festività di San Marco Evangelista. Tra le pareti ecclesiastiche insiste la confraternita laicale del Santissimo Sacramento, fondata il 27 novembre 1543. Secondo le norme statutarie, i confratelli, rapppresentati da due maestri,si impegnano a rispettare i seguenti doveri: mantenere accesa la lampada davanti al tabernacolo; accompagnare il Santissimo Sacramento a casa degli infermi; somministrare la cera; organizzare la processione a loro spese ogni terza domenica del mese; far celebrare una messa cantata. Ne ribadisce tutti gli impegni padre Francesco di Taranto, priore del monastero della suddetta chiesa, sabato 5 dicembre 1615, durante la visita pastorale del vescovo di Nola, mons. Giovanni Battista Lancillotti. L'occasione è opportuna per comunicare il numero dei parrocchiani, fermo a seicento, di cui ducentosessanta idonei a ricevere la confessione e la comunione, come hanno fatto nell'ultima festività di precetto. Invece, i soci della confraternita del Santissimo Sacramento sono novanta, i cui maestri durano in carica da tre anni. A fronte di questa affermazione, cconfliggente con il regolamento vigente, viene ingiunto al priore, sotto pena di scomunica, di indire entro l'ottava del Santissimo Corpo di Cristo l'assemblea generale di confratelli, deputata ad eleggere i nuovi amministratori, ai quali va reso il rendiconto amministrativo da parte di quelli attualmente in carica. Quindi l'attenzione dei visitatori volge sull'altare del Santissimo Rosario, che appartiene all'omonima confraternita, i cui maestri sono Battista Pagano e Nunziato Santillo. Proprio questi ultimi, presentando le bolle della sua fondazione, risalente al 7 marzo 1593, comunicano che i soci sono quaranta. Infine, essi affermano che la confraternità non ha alcuna rendita, ma vive di elemosine giornaliere.
Il 6 settembre 1615, il vescovo di Nola in persona, mons. Giovanni Battista Lancillotti, esegue la visita pastorale nella chiesa parrocchiale di Valle (antico nome di Pompei n. d. r..), dedicata al Santissimo Salvatore. Lo accoglie in pompa magna don Domenico Bottone che ricorda, innanzi tutto, il suo impegno di celebrare la messa tre volte la settimana, il mercoledì, il venerdì e il sabato. I parrocchiani sono sessanta, di cui venticinque possono avvicinarsi alla confessioone e alla comunione, come hanno fatto tutti nell'ultima festività di precetto.
No; la vostra Chiesa non raccoglie intorno a sé che una frazione di uomini, frazione che impicciolisce ogni giorno di più: la vostra autorità non dirige, non genera, non promuove la vita da ormai sei secoli: voi negate la facoltà che dovreste dirigere: negate, negando il lavoro da compirsi sulla Terra, gli strumenti che Dio ci diede a quell’uopo, negate l’intento divino di tutti i lavori dell’Umanità anteriori al presente: negate l’iniziazione al meglio contenuta nel Cristianesimo: negate la libera attività dell’uomo, senza la quale non è merito né demerito: negate i doni infusi (art. 80) ogni vostra missione a pro dell’incivilimento e del progresso degli uomini: negate i doni infusi da Dio in noi tutti sostituendo ad essi l’arbitrio d’una grazia largita ad alcuni: negate l’immortalità delal vita decapitando l’anima coll’Inferno: negate la perenne comunione di Dio colla sua creazione, decretando una doppia Umanità, Umanità della caduta e Umanità della redenzione: negate la Morale negando il nostro dovere di lavorare a istituire, per quanto è possibile, il regno di Dio sulla Terra e lasciando i nostri fratelli in preda alla tirannide, alla miseria, all’ignoranza, all’ingiustizia, all’errore: negate alle Nazioni il diritto di affermare la propria libera vita di affratellarsi nel bene di tutti colle nazioni sorelle, di scegliersi capi meritevoli della loro fiducia. Non affermate se non una cosa: che voi dovete essere Principe e possessore, senza obbligo alcuno verso l’Umanità, quella potenza e quei beni terrestri che intimate a noi di disprezzare. Fu tempo – e io guardo con riverenza – quando il papato affermava e guidava …….. No: la religione non è più con voi. Dio, anteriore a voi, anteriore a Gesù, è con noi, con noi seguaci della sua Legge, continuatori della Tradizione che ne rivela il disegno. Da Innocenzo III in poi, il Papato rinnegò vita e missione, per adorare se stesso, il proprio Potere, la materia. …… richiamammo a vita la Grecia, diminuimmo la miseria delle moltitudini, innalzammo la bandiera di Libertà per le oppresse Nazioni, emancipiamo oggi i negri d’America e fondiamo, avversati da voi, l’Italia. I martiri del Dovere sono tra quelli che voi chiamate increduli: i consolatori del povero sono tra quei che voi, servendo ai principi dai quali sperate protezione, dannate. A voi non resta che guaire indecorosamente, mendicare per vivere e maledire inascoltato, sprezzato. Scendete dunque da un trono sul quale voi non siete più Papa, ma tiranno volgare e mantenuto da soldati d’altri tiranni. Voi sapete di essere in Roma, quando quei soldati non ricingano il vostro Conclave, l’ultimo Papa. L’Umanità ebbe la religione del padre e quella del Figlio. Date il varco alla religione dello Spirito. Come papa vi accusano l’impotenza di seicento anni, la diserzione di ogni precetto di Gesù, la fornicazione coi tristi principi della terra, l’idolatria delle forze sostituita allo spirito della religione, l’immoralità fatta sistema negli uomini che vi circondano, la negazione di ogni progresso sancita da voi medesimo come condizione della vostra vita. Come re, vi accusano il sangue di Roma e l’impossibilità di rimanervi un sol giorno, se non per forza brutale. Riconciliatevi con Dio. Coll’Umanità non potete. F.to Giuseppe Mazzini.
Bravo! Bravissimo, illustri rappresentanti del popolo, che sì fedelmente trattaste i grandi interessi dei vostri coabitanti del Sebeto! Abbiate i cento evviva, le mille grazie da parte di ognuno di noi, del paese tutto incantato dalle Sirene e continuate sempre nell’arringo così gloriosamente iniziato! Ma bando ormai all’ironia. Infedeli! Così si adempie il più sacro dei mandati! Così rispondesi alla fiducia che riposero in voi i vostri concittadini! Così si rappresenta un popolo eletto che vi chiamava a suoi fermi rappresentanti nel primo parlamento d’Italia! O credeste, signori deputati, che la elezione del popolo e l’altissimo onore a voi conferito fosse stato un semplice compenso ai vostri altissimi meriti che non mostraste di avere, ovvero un gratuito e doveroso coraggio alle altissime vostre virtù cittadine che pure non mostraste di possedere? Si, voi in buona fede doveste credere che la nomina a Deputato al parlamento Nazionale veniva fatta pei vostri esclusivi vantaggi, per ingraziarvi coi capi del governo, affinché seguendo ciecamente le sue pretensioni, e strisciando intorno ad esso poter buscare una qualche segreteria di stato, una nomina di governatore, di direttore o qualunque altra cari cuccia simile. Ma la sbagliaste, messeri nostri; ché la pubblica coscienza vi maledisse, condannò la vostra condotta e vi crede indegni del nome napolitano. Voi seguendo ciecamente la infausta politica del governo eccentrico di Torino, faceste in pochi mesi (oh prodigio straordinario di falsa politica) indietreggiare di mezzo secolo la patria nostra! Voi spegneste con la complicità del governo torinese il brio nazionale un dì tanto ingigantito nei focosi abitatori del Sebeto! Voi sanzionaste con la vostra passività la spoliazione del paese, la distruzione immatura di istituzioni secolari! Voi seminaste un malcontento così generale in tutte le classi della società nostra da non trovar riscontri negli annali della storia! Voi offendeste l’amor proprio di noi altri Napoletani additantoci come intemperanti presso il governo e lo rendeste sordo ai nostri giusti lamenti! Voi distruggeste inopportunamente la nostra autonomia governativa senza additare le risorse diverse pel gran numero di gente che rimaner doveva inoperosa dietro quella soppressione; e ciò consigliaste in momenti solenni in cui l’azione governativa doveva spiegarsi il più dappresso che si poteva alle località dove erano e sono tuttavia i più mostruosi disordini a riparare ed i più grandi interessi a regolare e proteggere! Voi niuna parola spendeste a pro dei generosi patrioti dell’armata napoletana che rifuggirono di combattere sotto il nefando vessillo borbonico, quando gli insolenti ministri Fanti e Ricasoli davano loro gli epiteti ignominiosi di traditori e vili!