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Di Admin (del 28/12/2011 @ 18:52:22, in Articoli , linkato 1564 volte)
Napole stà tutto ‘coppa a penziere, e ll’Italia tutta pare che fosse a la vigilia de na gran cosa, de na festa de famiglia, de no sposarizzio addesederato, de na chioppeta de confiette ca ll’ànno da chiovere dinto a lu mantesino da no momento a n’autro. La parola è una, lo mutto d’ordene è lo stesso ntra tutte quante, la voce che corre è voce comune: LA GUERRA. Finalmente. Nuje già ve l’avevamo assicurato, letture mieje, ‘nzi da quando tutte quante ll’autre parevano metterla ‘ndubbio, o non nce credevano affatto , e nuje dicevamo con a faccia a prova de ‘mbomma ca la guerra veneva, nn’eramo fortemente sicure, e conchiudevamo dicenno dinto a lu nummaro 30 nuosto “ve l’avrite d’arricordà”: Donga guerra? Guerra pe quanto è certo ca simmo vive. E assicurative ca non ce sarrà maje na bona pace si non avarrammo na bona guerra primmo. E tanto nisciuno se credeva ca la guerra se fosse affacciata veramente dinto all’Italia nosta. Ogneduno se ne faceva na risata; e tutte quante penzavano tanto all’avvecenarese de la guerra quanto io pozzo penzà a li diebbete de ll’amice mieie. Ma ogge pare ca lu cielo s’avesse voluto arricordà de nuje, accussì ‘nzicco ‘nzacco, quanno manco nce lu credevamo, e sotto l’impressione de la Vorza de lu commercio che se ne scenne a rrotola a rrotola ogne ghiurorno….. Ca lu governo vedenno mal’aria a Baia à mannato a chiammà a Zi Peppe (mo è buono Zi Peppé!) lu quale, sia ditto a annore e gloria soja, non s’è saputo annià, e corrarà a organizzà no nuovo corpo de volontarie, che sarranno commannate da isso, e avranno a soperiure purzì paricchie affizziale de ll’eserceto che se trovano all’aspettativa. Zi Peppe sta pe portà ‘nPiemonte da no momento all’autro; viva addonga Zi Peppe, e abbascio la Conzortaria. Via addonga la guerra e abbascio la camorra governativa.... Io si fosse quacche piezzo grusso, e, ‘vece de la sporta sotto e la lenterna mmano, portasse na sciabola trenante, e no revolvero a 45 colpe, vorria commannà io no poco la facenna, e agghiustà tutte le cose a modo mio. A primmo appetito l’avanguardia de ll’armata taliana la farrìa componere de tutte li camorriste ministeriale. Appriesso nce mettarria a Sella, Scialoja e Minghetti: chiste tre che sò nate co li tasse dinto e la coscienzia e che nce ànno appezentute cuotte e crude. Po Spaventa, Peruzzi, Rattazze tutto lo riesto de li conzorte taliane. Arreto o a fianco a chiste, li giornaliste co la livrera, zoé chille tale essere vennute ch’ànno la pagnotta a lu mese pe ncenzià tutte ll’azziune de li ministre. E accussì via discorrendo. A le pprimme cannunate se ne jarria pe ll’aria la camorra. A le sseconne lu terno de li crucefessure nuoste. A le tterze lu riesto dei chille ch’ànno ajutato a tirarce li piede. E restarriamo sule sule, cujete cujete, nuje, l’Italia e la gente de cuscienzia; Cola fra Ccola e lu Priore. Che bella cosa sarria! Ma lassammo fa a lu Cielo. Tutto sta a principia rese na cosa, e ogni pprencipio porta le conzequenzie soje appriesso a isso. Preparammoce a la guerra, jate coraggiose a la guerra e chello che bene appriesso lu ssape Ddio. MO PARE CA NCE SIMMO. LU TROVATORE. (Mercoledì 2 abrile 1866).
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Di Admin (del 03/01/2012 @ 17:25:27, in articoli , linkato 3819 volte)
1) De Lucia Gioacchino, Di Giove, Selleria; 2) Zampella Ferdinando, d’Ischia, Selleria; 3) Prinzo Pasquale, Commercio, Selleria; 4) Cappuccio Gaetano, Italia, Rua Francesca; 5) Picardi Pasquale, Degli Amici, Cassari; 6)Iappelli Luigi, De’ Negozianti, Strettoia degli Armieri; 7) Tramontano Domenico Dei negozianti, Tribunali; 8) Elia Luigi, Europa, Crocelle ai Mannesi; (9) Sangermano Giuseppe, Stella d’oro, Mannesi; 10) Montefusco Michele, Colomba d’Oro, Salvatore; 11) Lazzaro Giovanni Caffè e riposto, Loggia di Genova; 12) Adamo Cosmo, Buon Gusto, Loggia di Genova; 13) Franco Giovanni, Del Delfino, Marina; 14) Romano Saverio, San Biagio ai Taffettamari; 15) Mercolino Aniello, Dei Fiori, Largo Portanova; 16) Monarca Gennaro, Perfetta Amicizia, Tornieri; 17) Pesce Carmine, Nuovo Caffè, Largo Mannesi; 18) Pagano Raffaele, Antico Caffè Largo Mannesi; 19) Pantolesi Luigi Degli Amici, Fontana dei Serpi; 20) Minutolo Raffaele, Caffè, Violari; 21) Petrella Leopoldo, Della Fortuna, Fontana dei Serpi; 22) Di Giorgio Felice Della Fortuna, Pellettieri; 23) Vacca Michele Caffè, San Giovanni a Mare; 24) Martina Raffaele, Antico Caffè, Selleria; Giasco Gaetano, Commercio, Pendino; 26) Cacace Anna, Dell’Italia, Pendino; 27) Faenza Giuseppe, Ercolano, Strettola degli Armieri; 28) Persico Luigi, Dei Negozianti, Scalessie; 29) Pilasco Ferdinando, Della Fortuna, Tornieri; 30) Imbriaco Nunziato, Divino Amore, San Biagio dei Librari; 31) Serino Gaetano, Di Garibaldi, San Biagio dei Librari; 32) Pierno Pietro Paolo, De' Fiori, Forcella; 33) Serino Francesco e Gaetano, Di Garibaldi, Corpo di Napoli; 34) Esposito Carmine, Di Garibaldi, San Severo; 35) Falcone Pietro, Di Garibaldi, Sant'Arcangelo a Baiano; 36) Marenga Francesco, De’ Studiosi, Salvatore; 37) Pagnotta Luigi, Della Fortuna, Costanzi; 38) Martina Raffaele, Della Fortuna, Loggia di Genova; 39) Aquilaro Vincenzo, Della Rosa, San Biagio a Taffettamari; 40) Marra Giuseppe, Della Rosa, Loggia di Genova; 41) Rosa Vittorio, Caffè, Miroballo; 42) Caputo Luigi, Degli Amici, Armieri; 43) Guadagno Felice, Caffè Nuovo, Figurari, 44) Buonaiuto Francesco, De’ negozianti, Armieri.
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Di Admin (del 17/01/2012 @ 20:12:22, in Articoli, linkato 815 volte)
1) Ruggi Antonio, Vico Sedil Capuano, 26; 2) Schisani Antonio, Vico Majorano; Avella Bartolomeo, Vico Majorano; 4) Esposito Francesco, Vico Majorano, 36; 5) Fusco Raffaele, Vico Majorano; 6) Pruna Antonietta, Vico Majorano; 7) Sessa Arcangelo, Strada San Paolo; 8) Mititieri Agata, Fondaco San Paolo; 9) Alberto Irene, Fondaco San Paolo; 10) Sciullo Antonio, Vico San Nicola a Nilo; 11) Frizzetti Giacomo, Vico Consolazione; 12) Avallone Francesco, Salita Santa Patrizia; 13) Sarno Maria Raffaela, Vico Consolazione; 14) Pugliese Antonio, Vico Limoncello; 15) Monaco Raffaele, Vico Giganti; 16) Siniscalchi Rosa, Vico Purgatorio ad Arco; 17) Rumulo Antonio, Vico Purgatorio ad Arco; 18) Brancaccio Pasquale, Vico Storto Purgatorio, 19) Russomanno Alario, Vico Purgatorio; 20) Tomeo Simone, Strada Atri; 21) Metitieri Caterina, Strada Atri; 22) Ambrosio Gennaro, Vico Consolazione; 23) Gaito Maria Antonietta Raffaela, Vico San Giuseppe dei Ruffi; 24) Casaula Carmela, Strada Donnaregina; D’Argenio Carmine, Vico San Nicola a Nilo; 26) Mazzucchiello Francesco, Vico San Gregorio Armeno. CASE MOBIGLIATE: 1) Palma Maria Giuseppe, Strada Tribunali; 2) Tipo Carlo, Vico Giganti; 3) Aleandra Giuseppe, Vico Purgatorio ad Arco; 4) Palumbo Salvatore, Strada Atri; 5) De Martino Raffaele, Vico Giganti.
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Di Admin (del 07/02/2012 @ 21:21:13, in ARTICOLI, linkato 814 volte)
Noi abitanti di Borgo Vittorio di Casale di Carinola della diocesi di Sessa Aurunca esponiamo quanto segue: Abbiamo per ben due volte esposto alla Santa Sede e a Vostra E. che S. E. il vescovo di Sessa Aurunca si era intestardito di costruire a Croce di Casale una chiesa contrariamente alla deliberazione prefettizia, che riconosceva centro Borgo Vittorio, dove dovrebbe erigersi la Chiesa, se deve sorgere, ed al volere di tutte le autorità locali e degli abitanti tutti. Abbiamo detto che il parroco di San Donato fu l’autore ad organizzare la costruzione della chiesa a Croce di Casale, perché aveva ricevuto olio e farina da quei pochi abitanti ivi esistenti; che il parroco di S. Donato ha celebrato la S. Messa per la prima volta soltanto in una vecchia stalla di buoi, improntata per l’occasione a chiesa. Abbiamo detto per la prima volta soltanto perché gli abitanti di San Donato, avendo saputo che il loro parroco si era intromesso in questa faccenda, gli intimarono o di non andare più a celebrare la domenica la S. Messa a Croce di Casale o che l’avrebbero immediatamente cacciato via da San Donato. Il parroco di San Donato a ciò non andò più a Croce di Casale e ne avvertì il Vescovo il quale da allora andò, come va ancora, ogni domenica, a celebrare di persona la S. Messa in questa antica stalla di Croce di Casale, dietro il compenso di lire cento settimanali, di olio, farina e pranzi luculliani. Credevamo che il Vescovo di Sessa, in seguito alle nostre continue e giuste lamentele fattegli svariate volte da una Commissione apposita ed agli esposti fatti alla Santa Sede e a Vostra Eminenza, avesse smesso di andare a celebrare la Santa messa, ogni domenica, a Croce di Casale, e avesse desistito dall’idea di costruire colà una chiesa, invece si è ostinato di più e si è messo d’accordo con l’ispettore scolastico di Sessa Aurunca per far istituire a Croce di Casale una Scuola sussidiata per non far affluire alla scuola di Borgo Vittorio e col fine recondito e ultimo di far morire, per mancanza di alunni, la scuola di Borgo Vittorio. Tutto questo fa per puntiglio e per ostinato dispetto contro di noi di Borgo Vittorio.…….. E dire che Borgo Vittorio dista appena quattrocento metri da Croce di Casale. Inoltre il colmo dell’indelicatezza, per non dire della mancanza di educazione, l’ha commessa mercoledì, 3 febbraio, giorno in cui aveva tassativamente promesso a quindici persone di noi altri, andati da lui in Commissione per proporgli una conciliazione, a noi proposta da quelli di Croce di Casale, cioè di costruire la Chiesa a metà distanza tra Borgo Vittorio e Croce di Casale e precisamente alla casa Cantoniera del km 8 della linea ferroviaria Sparanise – Gaeta. Egli si mostrò contento di questa ottima proposta, che avrebbe messo fine a tanti attriti ed a tante ostilità da lui e dal prete di San Donato create tra noi di Borgo Vittorio e quelli di Croce di Casale, mentre prima regnava l’accordo pieno ed assoluto, e promise che sarebbe venuto senz’altro, come abbiamo detto, il mattino del giorno 3 febbraio. Noi invitammo per l’occasione anche l’Ispettore scolastico, il Segretario Politico e il Tenente dei carabinieri di Sessa Aurunca e preparammo ed organizzammo un’accoglienza degna veramente di un Vescovo. Tutta la popolazione riunita, unitamente alla Maestra, che venne a bella posta da Caserta, ed ai bambini della scuola, aspettò fino a tarda ora il vescovo, il quale non solo non venne, ma non si degnò neanche di farci avere un biglietto di giustificazione ………. 10 febbraio 1943.
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Di Admin (del 02/10/2012 @ 20:07:54, in Articoli, linkato 769 volte)
Disgraziatamente per la nostra patria gli uomini del potere o non sanno o non vogliono rimediare ai mali che vanno man mano ingigantendosi, non trovando nulla che li combatte. Il Borbone quindi ed i Borbonici, acquistando sempre più coraggio, fanno i fatti loro palesemente, e noi? E noi facciamo chiacchiere e sempre chiacchiere. La reazione s’ingrossa nelle provincie, forma i suoi reggimenti, dà battaglia, mette a sacco e distrugge, e non si pensa a reprimerla energicamente. Vuolcisi dare ad intendere che sono bande di briganti mentre sono quasi tutti soldati borbonici feroci ed istruiti nel maneggio delle armi comandati dai loro ufficiali istruiti quanto ogni altro nell’arte della guerra. Se prontamente non si accorra e si distrugga fino all’ultimo reazionario, se non si faccia giustizia e si ponga in opera tutto ciò che può far conta la popolazione (Iddio nol voglia), quando men l’aspettiamo vedremo invasa la nostra bella Napoli e rinnovate le sanguinose scene del giugno 1799!!!! Signore di San Martino nelle vostre mani raccomandiamo la nostra tranquillità, il nostro avvenire! Leggiamo dalla Democrazia: La nostra Città vede sui colli di Castellammare e di Portici sventolare l’aborrita bandiera borbonica, cosa concepibile, oltre ogni dire insultante il governo e il popolo, che dovrebbe scuotere entrambi ad agire con più energia. Sì, i reazionari evasi dai Granili si aggirano su quei luoghi e minacciano strage e morte ai coloni. Intanto che si fa per snidarli? Un giorno o l’altro essi si presenteranno tra noi e si lasceranno passare. Ecco il felice stato delle nostre provincie. Intanto la solerzia del commendatore e segretario generale dei due dicasteri dell’Interno e Polizia, il sig. Silvio Spaventa, starsene inerte al cospetto di cosa cui reprimere e di sacro dovere, di cui la pubblica opinione mai non desiste di domandargliene conto. Avant’ieri molte pinzochere si misero a gridare al miracolo, al miracolo. A quella voce accorsero molta gente, e siffattamente accrebbesi il concorso che avvisatane la Piazza fu spedito sul luogo il colonnello Sarmento acciò riferisse sul fatto, e già quelle stupide, per non dire tristi e meretrici, avevano acceso candele e si erano prostrate innanzi un’immagine nella cappelletta sita alle spalle della Vicaria, e precisamente al punto ove si noleggiano le vetture per Aversa. Là presso, sul ponte di Casanova, erano circa cento Militi Nazionali che si esercitavano nelle armi. A quell’annunzio si portarono sul luogo e dispersero quell’ammutinamento. Questi erano condotti dagli ufficiali dell’8 battaglione, signori Michele Camerlingo e Gaetano Manzanillo, nonché dall’ex Luogotenente dei Garibaldini Luigi Gargiulo. Se quel tumulto non fosse stato testé sedato, niuno a cosa avrebbe condotto, ci siano d’esperienza gli ultimi fatti di Caserta, e veggano i nostri governanti di quali armi usano i nostri nemici onde gettare il paese nell’anarchia e nel subbuglio, e giudichiamo se noi abbiamo sì o no ragione di gridare tutto giorno: calpestate, togliete dalla faccia della terra questi aspidi velenosi, e pensino infine a prendere tali provvedimenti che tali fatti possano impedire. Ove ciò avvengasi, noi avremo il diritto e la forza di dire la colpa è vostra, voi pagate il fio . M. P.
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Di Admin (del 05/10/2012 @ 19:32:20, in Articoli , linkato 925 volte)
Se si fosse fatto un coscienzioso scrutinio nel ramo giudiziario non si sarebbe avverato, in danno della giustizia, il serio malanno di far rimanere al potere di cariche eminenti soggetti esecrati per fatti immorali e pravità politiche senza meriti e di brutte caste. Tra costoro occupa il primo posto il famosissimo satellite del dispotismo Gennaro Sauchelli, attualmente presidente della Gran Corte di Benevento, gesuita d’indole e per educazione dotato della natura dal funesto dono di malvagità non comune. Egli sortiva i suoi natali da una illecita tresca in cui viveva sua madre, domestica nella casa Morra. E come spia del ministero Delcarretto, e per i rapporti del padre naturale entrò nella carica di giudice del circondario di terza classe. Avvezzo quale delatore agli arbitri, abusò sempre del potere e confuse l’amministrazione della giustizia con i capricci delle sue sbrigliate passioni, per soddisfare le quali calpestando ogni diritto divino ed umano si disfece del proprio coniuge propinandole potente veleno. Col suo saputo bigottismo e farisaico modo ha sempre avuto l’arte di sapersi mascherare e smaltirsi con i colori dei tempi …….. Ma però si tradiva in Catanzaro quando qual Giudice di quella Gran Corte Criminale fu il Commissario delle cause politiche appalesandosi il magistrato più efferato nelel condanne per reati di simil natura. Si rammenta con orrore la causa giudicata da quella Gran Corte per rinvio contro un tale Ameriduri di Gioiosa imputato principale di tenere in propria casa riunione settaria. Il Sauchelli commissario diede il suo voto di non costa per Ameriduri perché ricchissimo ….. mentre per i gregari votò pel costa colla pena di 25 anni di ferri, perché poveri …… Sapienti pauca!!! Fu pure in Catanzaro commissario di quegli infelici contadini che si recarono nel Campo ove avvenne il conflitto coi Regii, e quantunque assodato si fosse che erano andati per elemosinare, pure votò pel costa con trenta anni di ferro. Questi tratti di ingiustizia e di empietà gli valsero di merito, per lo che acese al posto di Procuratore generale. Trapiantato in Potenza colle sue scaltrite arti commise cose orribili e da non credersi nelle lacrimevole occasioni del flagello del terremoto. Basta riscontrare i rapporti che a quell’epoca a suo prò faceva l’aborrito Intendente Ajossa soggetto dello stesso suo calibro. Non appena giungeva in Avellino, ove da Potenza venne traslocato, si unì a filo doppio colla celeberrima spia e lenone dell’Ajossa, il tristissimo giudice Cav. Ferdinando Giannuzzi e facendo con costui causa comune, ebbe la sfacciataggine definirlo appo il Governo pel primo giudice della Provincia, raccomandandolo con peculiari rapporti al ministero per magistrato Collegiale. Per brevità si tralasciano altri orrori fatti e si rammenta solo quello avvenuto in Avellino verso il 22 giugno decorso anno 1860 contro l’impiegato di quella procura civile sig. Matteo Stisi ………………. Ed intanto questo mostruoso germoglio dei figli di Adamo, rovina e desolazione di tante famiglie per aver condannato tanti liberai alla morte e ai ferri si fa non solo rimanere ancora sui seggi della Gran Corte Criminale, ma per meglio incoraggiarlo nel malaffare se gli affidano delicati incarichi come quello di Commissario ripartitore della Capitanata. Misera provincia! Sarai da lui spogliata ed oppressa. E già te ne ha dato l’esempio col aver fatto nominare per suo assessore Vitagliano di Benevento di lui fido lenone e tristo come lui. Domenadio è stanco delle nequizie di questo uomo e si spera che il Governo provegga contro di lui.
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Di Admin (del 20/12/2012 @ 15:14:24, in Articoli , linkato 982 volte)
......... Poco dopo, in uno scenario viario rinnovato, lo sparo dei fuochi pirotecnici annuncia l’avvento in Casoria del cardinale Giuseppe Spinelli il quale, a monte della visita pastorale, ha ordinato ai parroci di preparargli in anteprima una dettagliata relazione sulla chiesa di propria competenza. Sulla scorta di questi importanti documenti, ci confondiamo nel corteo cardinalizio e ci avviciniamo alla collegiata chiesa di San Mauro, la cui facciata, estesa su uno spazioso terreno, presenta tre porte, la grande al centro e le due piccole lateralmente. A destra si eleva il campanile di piperno, sulla cui sommità svettano tre campane, una di dieci cantare, la seconda di cinque e la terza di due. Il frontespizio si caratterizza per la varietà cromatica che avvolge anche le sottostanti immagini dei Santi Pietro, Paolo, Mauro, Nicolò Pellegrino e Filippo Neri. Naturalmente entriamo attraverso la porta centrale spalancata e sull’uscio con tono deferente compie gli onori di casa il cinquantenne preposito don Paolo Russo, il cui servizio parrocchiale dura da tredici anni. Gli sono vicini i coadiutori don Giacomo d’Arco e don Matteo Costabile. Al primo impatto colpisce l’ariosità degli spazi interni, che si effondono in lunghezza centonovantasette palmi e in altezza ottantaquattro palmi, solcati dalla policromia degli stucchi e degli intagli, la cui linee armoniche, dispiegandosi in direzione opposta per tutto il perimetro murario, confluiscono nel coro di noce con due ordini di sedili, ove, in quello superiore, siedono il preposito curato, il parroco e i canonici. Sovrasta il quadro della Santissima Vergine con San Mauro e altri santi, opera di Domenico Vaccaro. In questo spazio vuoto talora viene spostato l’organo mobile, altre volte allocato nella cappella di Santa Maria di Monserrato. Nella parte immediatamente anteriore, circondata da un’ampia balaustrata di noce traforata con tre gradini ed altrettante porte, troneggia l’altare maggiore nella sua varietà marmorea, impreziosita ulteriormente nella fattura del tabernacolo con l’aggiunta di pietre di lapislazzulo e con la portella di argento con le relative chiavi. All’interno le ostie consacrate si conservano in tre pissidi d’argento. Corrono su entrambi i lati nove cappelle, disposte cinque a destra e quattro a sinistra secondo il corrispondente schema: Santa Maria di Monserrato, San Giuseppe, San Tommaso Apostolo, San Felice in Pincis, San Francesco d’Assisi, San Rocco, Santissimo Rosario, Santa Maria di Loreto e San Lazzaro, Crocifisso e San Mauro: tutte sono dotate di sepoltura riservata ai componenti della famiglia proprietaria della cappella, tranne i bambini morti senza battesimo, sepolti nel giardino della chiesa. La calda parola dei predicatori, soprattutto, quaresimali trova la giusta base di emissione nel pulpito di legno, mentre l’acqua benedetta, rinnovata ogni sabato, è conservata in due grandi fonti marmoree “di broccatello di Spagna”. Tra queste stesse mura si trova la congregazione laicale di Santa Maria della Pietà con la omonima cappella, sul cui altare di marmo spicca il quadro della visitazione di Maria Vergine con la cornice di oro. Il suddetto oratorio, che misura in altezza trenta palmi, in larghezza trenta e in lunghezza cinquantaquattro, è dotato di molti sedili di noce, idonei ad accogliere i 218 confratelli, adusi a riunirsi ogni domenica mattina per recitare le orazioni religiose, per ascoltare il commento del vangelo da parte del padre spirituale don Tommaso Gallucci e per pronunciare gli atti di fede, speranza, carità e contrizione, sigillati dalla recita di alcuni pater e ave per la chiesa, per il sommo pontefice, per il cardinale e per il re. Ogni prima domenica del mese i confratelli, dopo la liturgia rivolta al suffragio dei defunti, si confessano e si comunicano. Nelle cerimonie ufficiali essi indossano i camice, il cingolo e la mozzetta di colore violaceo con le imprese di Santa Maria della Pietà d’argento. La parte amministrativa è nelle mani del superiore e di due assistenti, eletti annualmente dal consesso generale, alla presenza del preposito della Collegiata e del padre spirituale, dopo la festività della visitazione della Madonna. I nuovi responsabili a loro volta nominano “gli ufficiali subalterni”: quattro delegati a visitare i confratelli infermi, cui vanno consegnati in regalo polli e dolce; due a custodire gli abiti, l’argenteria e altro; quattro a raccogliere le elemosine per la celebrazione delle messe per le anime del purgatorio; due ad aprire e chiudere le porte della congrega, mentre si svolge l’assemblea. La rielezione di costoro non può avvenire, se non è trascorso almeno un triennio. Quanti si macchiano di qualsiasi mancanza, puntualmente ripresi dal padre spirituale, devono ripercorrere il tragitto della riammissione deliberato dall’assemblea generale. L’accoglienza comporta l’espiazione della penitenza e l’esercizio della meditazione suggerita dal padre spirituale. Nello stesso locale si riuniscono, nel pomeriggio domenicale, i cento confratelli della congregazione della Dottrina Cristiana, dedicata ai principali misteri della fede cristiana, la Santissima Trinità, l’Incarnazione del Verbo e il Santissimo Sacramento. Vi fanno parte, anche se solo nominalmente e in funzione esclusiva del godimento delle indulgenze, quindici donne. All’interno della cappella della Pietà, familiarmente rievocata con il nome di Cappellone, vi è quella della Santissima Concezione: l’altare, interamente di marmo, tranne la mensa e il paliotto, è sormontato dal quadro del Vaccaro. A questo punto si slarga l’accesso alla sacrestia la quale, costruita a volte, misura ventisei palmi di altezza e trenta di lunghezza. A destra e a sinistra, due mense arroccate al muro custodiscono gli apparati sacri; adempiono analoga funzione i vari stipi in legno disseminati ovunque. Qui sono custoditi i registri dei defunti, dei battezzati e dei matrimoni. Il primo registro dei defunti è andato perduto, il secondo parte dal 4 gennaio 1634. Il primo registro dei battezzati inizia dal 14 maggio 1564, il corrispondente dei matrimoni dal 20 agosto 1566. L’attuale grandezza della chiesa va scritta a merito del parroco don Antonio Abbate, come si legge nell’epigrafe incisa dietro il pilastro dell’altare maggiore. Alla grandiosità strutturale della Collegiata corrisponde la sua estensione territoriale. Essa, registrando 4387 parrocchiani, di cui 2196 uomini e 2191 donne, compresi i cinquantotto sacerdoti secolari e il diacono facente funzione di maestro di scuola, don Giuseppe Parisi, si effonde in un raggio molto vasto e confluisce nelle prominenze dei cinque paesi limitrofi: infatti, verso Cardito funge da limite estremo la masseria dei Miracoli, verso Arzano l’osteria dell’Agnello, verso Afragola la via Longa che si dilunga da Poggioreale fino alla stradetta prospiciente l’osteria di San Pancrazio, verso Casavatore la cosiddetta Cupa. Attraverso questo lungo tragitto, che delimita l’ottina o parrocchia della Collegiata, procede la solenne processione con la statua di San Mauro in occasione della festività del Santo Patrono, il 15 gennaio, e, soprattutto, nella seconda domenica di luglio, in cui si celebra la traslazione delle ossa del Santo a Casoria: apre il corteo il lungo stuolo dei canonici, dei sacerdoti e dei confratelli della Congregazione della Pietà, le cui preghiere, recitate o cantate, rinforzate dal sonoro seguito del popolo festante, ne rimandano l’eco per tutta la cittadinanza .............. (Estratto dal libro: Luigi Iroso, Casoria alla luce del sole, 2012).
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Di Admin (del 26/12/2012 @ 13:02:07, in articoli, linkato 1001 volte)
Vincenzo Ferrara quondam Fiorillo, Antonio de Anna, Giuseppe Zamparello, Giovanni Domenico de Afeltro, Ottavio Monticello, Lutio Alvino, Matteo Valentino, Andrea Ponticello, Giovanni de Fuccia, Ottavio Cortese, Minico Palmentiero, Paolo Mastronso, Simone Ferrara, Iacobo de Anna de Marco, Filippo Casolaro, Sibio Ferrara, Cesare Russo, Andrea de Luca, Minichello Ferrara, Maurello Fontanella, Gennaro Casolaro, Innocenzo Abate, Andrea Rocchino, Marco Ponticello, Lelio Zamparello, Adezio Mingola, Carlo Russo, Alfonso de Alesio, Iacobo de Andrea, Giulio Marcello de Anna, Giovanni Andrea de Luca, Vincenzo Abate, Ludovico Russo,Tiberio de Loysio, Iacobo Russo, Palmerio Prezioso, Nardello Cortese, Giovanni Abate, Minico Russo, Agostino Rocco, Carluccio Casolaro, Ottavio Casolaro, Paolo Ponticello, Fabrizio de Anna, Antonio de Ligorio, Amperio Russo, Benedetto Pisa, Salvatore Russo, Orazio Russo, Stefano de Rosa, Pirro Loysio Abate, Battista Ferrara, Francesco Ferrara, Marco Antonio Russo, Ottavio Migliore, Pompeo Vergara, Donato de Vita, Giovanni Paolo Russo, Francesco Ponticello, Benedetto Cortese, Romualdo Ponticello, Filippo Abbate, Vincenzo Ferrara quondam Nicola, Giovanni Russo quondam Simone, Ottavio Abate, Pompilio de Alesio, Riccio Russo, Nicola Casolaro, Adetio de Anna, Vincenzo de Angelo, Annibale Casolaro, Adetio Ferrara, Ascanio Russo quondam Maurello, Iacobo Alvino, Giuseppe Fontanella, Fabio Russo, Fonso Russo di Andrea, Adenasio Ferrara quondam Mauro Antonio, Giovanni Andrea Prezioso, Sabatino Mastronso, Fabiano Prevete, Berardo Mastronso, Pascarello Cortese, Pascarello Cortese, Novello Casolaro, Giovanni Mario Russo, Giuseppe Russo, Orlando Casolaro, Mucio Casolaro, Ovidio Ferrara, Giuseppe de Natale, Ascanio Russo, Giovanni Andrea, Simeone e Andrea Fontanella, Antonio Cirillo, Menico Ponticello, Carlo de Vita, Battista Russo, Francesco Idisco, Donato Astone, Giovanni Domenico Fastone, Scipione Sorgente, Giovanni Sorgente, Menico Russo, Scipione Russo, Ottavio Russo, Minico Ottavio Russo quondam Pascarello, Attilio Teverola, Giovanni Iacobo de Luca, Giovanni Antonio Ferrara, Adezio Russo, Giuseppe Cortese, Stefano Cortese, Alfonso Ciaramella, Cesare Ciaramella, Marco Taurella, Maurello Caruso, Geronimo de Ambrosio, Orazio Russo de Ascanio, Francesco de Vita, Pompeo Mingolo, Tommaso de Luca, Donato Valentino, Carlo Abate, Paolo Abate, Scipione Ferrara, Francesco de Luca .......... (Luigi Iroso, Casoria alla luce del Sole, 2012).
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Di Admin (del 13/03/2013 @ 21:30:10, in articoli, linkato 861 volte)
Caffettiere: Mannaggia tutte ll’uommene che non teneno parola! E comme, neh, Mast’Aniè? Nce aje abbandonate? Che bonora è; non te si fatto vedè cchiu? Mezarecchia: Ppi! Amante povere, amice perdute. Mast’Aniello s’avarrà fatte li denare e pecchesto ..... Ciabattino: Iavete a fa ....... mo si, che ve nce mannaria Foregrotta ........ Io sto co li cancare ‘ncapo e buje me stuzzecate appriesso. Mezarecchia: Ch’è stato? Che t’è socciesso? Ciabattino: E che m’ha da soccedere! E’ meglio che non chiacchiarejo, ca sto co lo beleno a lo musso, e si chiavo no muoro a uno mme faccio venì lo naso mmocca ...... Caffettiere: Mast’Aniello mio, non te ‘ntossecà cchiù; teh, vivete sta presotta de spireto de vrovine, e accònciate la vocca. Sbafa, sbafa co nuje; ca te sentarraje alleggerì lo stommaco. Ciabattino: E ca pe sto sbafà che aggio fatto co buje io sto co na persecuzione ‘ncuollo de nova specie. Io non saccio che mìè socciesso. Chi mme vo fa, chi mme vo dì, chi m’abbotta de maleparole da cca, chi m’ammenaccia da llà ..... e pecché, neh, e pecchhé?? Ca io parlo troppo ch aro e dico la veretà comme mme sento. E sto parlà sinceroha ‘ntoppato lo naso li nemice de la veretà, a li cuorpe de ‘mpostura e de boscia. Caffettiere: Uh! Mmalora! Io sentette parlà de na cosa; che saccio ..... de no sciabacchino che era stato secotato la semmana passata pe Toledo; ma non poteva maje ‘mmagenereme ca tu jere sto sciabacchino. Ciabattino: Fuorze volarraje dì Ciabattino? Caffettiere: Se, se Ciab ... Ciabattino!! Se, se!! ... ma tu che nce aje che spartere? Tu si solachianiello e non Sciabattino .... Ciabattino: E solachianiello e ciabattino è la stessa cosa .... Nzomma pe te fa capace, so stato io, che aggio passato tutto chesto, pecché ca parlo ‘nfaccia e chello che aggio da dì a uno non ce lo mmanno dicenno. Mezarecchia: Povero Mast’Aniello! Mme dispiace ca pe bia nosta ... ma chesto non mme fa capace: doppo che tu avisse fatto male a parlà, me pare ca nce sta la legge, e la legge (comme sentette di quanno io era Calibardino) è eguale pe tutte! Pecché addonca non se fa sta legge pure per tte, senza fa tanto chiasso e tanto rommore? Caffettiere: Ma caro Mast’Aniello, ll’aje voluto tu, agge pacienza! Tu chiacchiarie sempe comme a no riazionario, pecché cierte cosarelle sarria meglio a non dirle, e tu a lo contrario parle, parle e parle senza riguardo. Ciabattino: Nzomma la libertà de la stampa pecché nce stà? Forze per dicere solamente chello che buò tu o chello che bò Mezarecchia? Embé, tu dice ca lu governo borboneco era tiranno pecché non boleva fa parlà liberamente, pecché voleva che tutte quante avessero penzato de una manera, e che mo ognuno po dì li sientimente suoje senza paura de ji dint’a le quarantaquatto? E si io non pozzo parlà commme mme lo sento, ‘nche consiste stà libertà d’opinione? Caffettiere: ma tu a le bote parle troppo arraggiuso. Ciabattino: Chi magna fa mollica, se sole dì. E se io compatisco a ll’autre che te jettano cierte chacchune che meretarriano d’essere ‘mpise, non cìè niente de male che non se jesse tanto trovanno lo pilo dint’aa ‘lluovo co mmico, che so poveriello sì, ma cetatino libero comm’a tutte quante ll’autre; e si parlo, parlo ca nne tengo ragione da vennere, pecché mme veco affritto e paccariato senza averence nisciuna corpa. Veco la patria mia arredotta de sta sorta de manera, appezzentuta, sfavecata, annabbessata, e pecché? pecché? E bolite che io mme sto zitto e dico che tutto va buono? Non sarrà maje! Io desidero che la patria mia fosse felice, che tutte stessero contiente, che non ce stessero ‘ngiustizie, che ll’uommene fossero frate, ma veramente frate, frate fedele comm’a Abele e no comm’a Caino..... (Dal giornale "Il Ciabattino")
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Di Admin (del 19/05/2013 @ 22:26:49, in Articoli , linkato 912 volte)
Non avrei mai creduto di dover partecipare ad un cerimoniale funebre alla memoria di Aldo Giordano. Infatti egli rappresentava una parte sostanziale di me stesso, con cui svolgevo il passato, elaboravo il presente e progettavo il futuro al di là di qualsiasi ostacolo naturale e secondo i canoni di una feconda amicizia. Invece il feretro mi richiama alla dura realtà con l’ineludibile mistero della morte contro il quale invano impazza la ragione. A questo punto, trattenendo a stento le lacrime, attivo le vie del cuore al fine di trovare il senso vero, autentico e caratterizzante la vita di Aldo nelle sue dimensioni più profonde. Del resto lo impone questa partecipazione massiccia di pubblico, accorso per tributargli l’estremo omaggio. Per lui non valgono i versi foscoliani: “sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna”, semmai gli altri incentrati sulla “corrispondenza d’amorosi sensi”, grazie alla quale “si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi”. Proprio attraverso la fase dialogica si irradia in pieno la personalità di Aldo incentrata nella consapevolezza piena della sua identità umana e nel senso spiccato dell’appartenenza, esperite, all’interno e all’esterno delle pareti domestiche, con le virtù della bontà, della genuinità e della semplicità, in cui Francesco de Sanctis vede la forma esplicita della vera grandezza. Così irrompeva nei pensieri di Aldo il sentimento della famiglia nella sua accezione più vasta e più coesa del termine, partendo dall’immanente, in cui la signora Rita costituiva il refrain costante, lungo il quale scorrevano i nomi dei figli, nipoti e tutti gli altri numerosi componenti. A questo punto egli valicava gli stessi termini temporali, dato che giustamente determinati vincoli affettivi sono eterni. Nelle continue carrellate rievocative non ho mai visto un figlio così affezionato al padre Armando, di cui conosceva a menadito i numerosissimi articoli pubblicati sulle singole riviste. Rimane ferma davanti ai miei occhi la sua gioia sprizzante in alcune circostanze, nelle quali egli riannodava il vincolo con qualche suo antico familiare: la descrizione di alcuni momenti storici sangiuseppesi contenuti qua e là nei miei libri, in cui campeggia la figura di Michele Giordano, suo avo; la pubblicazione del testo su Annibale Giordano da parte di Attilio; l’intitolazione di uno dei due istituti tecnici commerciali locali proprio ad Annibale Giordano. Da queste manifestazioni, speculari di una spiccata sensibilità, abbiamo la caratura effettiva dell’uomo. Con la stessa disponibilità d’animo si proiettava il suo rapporto con la collettività nostrana, che ha perso un pezzo importante. Chi lo ha conosciuto ha potuto ammirarne l’ampiezza culturale e valoriale. Egli aveva innata l’attitudine ad accendere l’immediato colloquio e nelle forme più opportune, da quella più impegnata a quella più quotidiana. La stessa professione diventava occasione per dialogare a tutto tondo con l’interlocutore che non veniva mai considerato cliente, ma persona. Non a caso aveva la parola appropriata per tutti. Persino gli stranieri trovavano in lui un valido punto di riferimento. Spesso, se per caso non lo vedevano in farmacia, lo cercavano dicendo: “Dove sta il dottore?”. Ed il rituale, iniziato con l’attesa e con l’incontro, si concludeva con l’inveramento dei versi manzoniani “Doni con volto amico, con quel tacer pudico che accetto il don ti fa”. Caro Aldo, noi con i cuori gonfi di lacrime, alzando lo sguardo al cielo, ti ringraziamo di averci dato questa testimonianza di vita ispirata a grandi valori. Abbiamo capito ciò che stai dicendo in questo momento: adesso tocca a noi tutti l’obbligo di non fare spegnere la fiamma di siffatto patrimonio.
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