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Ultimo saluto al dottor Aldo Giordano
Non avrei mai creduto di dover partecipare ad un cerimoniale funebre alla memoria di Aldo Giordano. Infatti egli rappresentava una parte sostanziale di me stesso, con cui svolgevo il passato, elaboravo il presente e progettavo il futuro al di là di qualsiasi ostacolo naturale e secondo i canoni di una feconda amicizia. Invece il feretro mi richiama alla dura realtà con l’ineludibile mistero della morte contro il quale invano impazza la ragione.
A questo punto, trattenendo a stento le lacrime, attivo le vie del cuore al fine di trovare il senso vero, autentico e caratterizzante la vita di Aldo nelle sue dimensioni più profonde. Del resto lo impone questa partecipazione massiccia di pubblico, accorso per tributargli l’estremo omaggio. Per lui non valgono i versi foscoliani: “sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna”, semmai gli altri incentrati sulla “corrispondenza d’amorosi sensi”, grazie alla quale “si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi”. Proprio attraverso la fase dialogica si irradia in pieno la personalità di Aldo incentrata nella consapevolezza piena della sua identità umana e nel senso spiccato dell’appartenenza, esperite, all’interno e all’esterno delle pareti domestiche, con le virtù della bontà, della genuinità e della semplicità, in cui Francesco de Sanctis vede la forma esplicita della vera grandezza.
Così irrompeva nei pensieri di Aldo il sentimento della famiglia nella sua accezione più vasta e più coesa del termine, partendo dall’immanente, in cui la signora Rita costituiva il refrain costante, lungo il quale scorrevano i nomi dei figli, nipoti e tutti gli altri numerosi componenti. A questo punto egli valicava gli stessi termini temporali, dato che giustamente determinati vincoli affettivi sono eterni. Nelle continue carrellate rievocative non ho mai visto un figlio così affezionato al padre Armando, di cui conosceva a menadito i numerosissimi articoli pubblicati sulle singole riviste. Rimane ferma davanti ai miei occhi la sua gioia sprizzante in alcune circostanze, nelle quali egli riannodava il vincolo con qualche suo antico familiare: la descrizione di alcuni momenti storici sangiuseppesi contenuti qua e là nei miei libri, in cui campeggia la figura di Michele Giordano, suo avo; la pubblicazione del testo su Annibale Giordano da parte di Attilio; l’intitolazione di uno dei due istituti tecnici commerciali locali proprio ad Annibale Giordano. Da queste manifestazioni, speculari di una spiccata sensibilità, abbiamo la caratura effettiva dell’uomo.
Con la stessa disponibilità d’animo si proiettava il suo rapporto con la collettività nostrana, che ha perso un pezzo importante. Chi lo ha conosciuto ha potuto ammirarne l’ampiezza culturale e valoriale. Egli aveva innata l’attitudine ad accendere l’immediato colloquio e nelle forme più opportune, da quella più impegnata a quella più quotidiana. La stessa professione diventava occasione per dialogare a tutto tondo con l’interlocutore che non veniva mai considerato cliente, ma persona. Non a caso aveva la parola appropriata per tutti.
Persino gli stranieri trovavano in lui un valido punto di riferimento. Spesso, se per caso non lo vedevano in farmacia, lo cercavano dicendo: “Dove sta il dottore?”. Ed il rituale, iniziato con l’attesa e con l’incontro, si concludeva con l’inveramento dei versi manzoniani “Doni con volto amico, con quel tacer pudico che accetto il don ti fa”.
Caro Aldo, noi con i cuori gonfi di lacrime, alzando lo sguardo al cielo, ti ringraziamo di averci dato questa testimonianza di vita ispirata a grandi valori. Abbiamo capito ciò che stai dicendo in questo momento: adesso tocca a noi tutti l’obbligo di non fare spegnere la fiamma di siffatto patrimonio.
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