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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Noi abitanti di Borgo Vittorio di Casale di Carinola della diocesi di Sessa Aurunca esponiamo quanto segue: Abbiamo per ben due volte esposto alla Santa Sede e a Vostra E. che S. E. il vescovo di Sessa Aurunca si era intestardito di costruire a Croce di Casale una chiesa contrariamente alla deliberazione prefettizia, che riconosceva centro Borgo Vittorio, dove dovrebbe erigersi la Chiesa, se deve sorgere, ed al volere di tutte le autorità locali e degli abitanti tutti. Abbiamo detto che il parroco di San Donato fu l’autore ad organizzare la costruzione della chiesa a Croce di Casale, perché aveva ricevuto olio e farina da quei pochi abitanti ivi esistenti; che il parroco di S. Donato ha celebrato la S. Messa per la prima volta soltanto in una vecchia stalla di buoi, improntata per l’occasione a chiesa. Abbiamo detto per la prima volta soltanto perché gli abitanti di San Donato, avendo saputo che il loro parroco si era intromesso in questa faccenda, gli intimarono o di non andare più a celebrare la domenica la S. Messa a Croce di Casale o che l’avrebbero immediatamente cacciato via da San Donato. Il parroco di San Donato a ciò non andò più a Croce di Casale e ne avvertì il Vescovo il quale da allora andò, come va ancora, ogni domenica, a celebrare di persona la S. Messa in questa antica stalla di Croce di Casale, dietro il compenso di lire cento settimanali, di olio, farina e pranzi luculliani. Credevamo che il Vescovo di Sessa, in seguito alle nostre continue e giuste lamentele fattegli svariate volte da una Commissione apposita ed agli esposti fatti alla Santa Sede e a Vostra Eminenza, avesse smesso di andare a celebrare la Santa messa, ogni domenica, a Croce di Casale, e avesse desistito dall’idea di costruire colà una chiesa, invece si è ostinato di più e si è messo d’accordo con l’ispettore scolastico di Sessa Aurunca per far istituire a Croce di Casale una Scuola sussidiata per non far affluire alla scuola di Borgo Vittorio e col fine recondito e ultimo di far morire, per mancanza di alunni, la scuola di Borgo Vittorio. Tutto questo fa per puntiglio e per ostinato dispetto contro di noi di Borgo Vittorio.…….. E dire che Borgo Vittorio dista appena quattrocento metri da Croce di Casale. Inoltre il colmo dell’indelicatezza, per non dire della mancanza di educazione, l’ha commessa mercoledì, 3 febbraio, giorno in cui aveva tassativamente promesso a quindici persone di noi altri, andati da lui in Commissione per proporgli una conciliazione, a noi proposta da quelli di Croce di Casale, cioè di costruire la Chiesa a metà distanza tra Borgo Vittorio e Croce di Casale e precisamente alla casa Cantoniera del km 8 della linea ferroviaria Sparanise – Gaeta. Egli si mostrò contento di questa ottima proposta, che avrebbe messo fine a tanti attriti ed a tante ostilità da lui e dal prete di San Donato create tra noi di Borgo Vittorio e quelli di Croce di Casale, mentre prima regnava l’accordo pieno ed assoluto, e promise che sarebbe venuto senz’altro, come abbiamo detto, il mattino del giorno 3 febbraio. Noi invitammo per l’occasione anche l’Ispettore scolastico, il Segretario Politico e il Tenente dei carabinieri di Sessa Aurunca e preparammo ed organizzammo un’accoglienza degna veramente di un Vescovo. Tutta la popolazione riunita, unitamente alla Maestra, che venne a bella posta da Caserta, ed ai bambini della scuola, aspettò fino a tarda ora il vescovo, il quale non solo non venne, ma non si degnò neanche di farci avere un biglietto di giustificazione ………. 10 febbraio 1943.
1) Ruggi Antonio, Vico Sedil Capuano, 26; 2) Schisani Antonio, Vico Majorano; Avella Bartolomeo, Vico Majorano; 4) Esposito Francesco, Vico Majorano, 36; 5) Fusco Raffaele, Vico Majorano; 6) Pruna Antonietta, Vico Majorano; 7) Sessa Arcangelo, Strada San Paolo; 8) Mititieri Agata, Fondaco San Paolo; 9) Alberto Irene, Fondaco San Paolo; 10) Sciullo Antonio, Vico San Nicola a Nilo; 11) Frizzetti Giacomo, Vico Consolazione; 12) Avallone Francesco, Salita Santa Patrizia; 13) Sarno Maria Raffaela, Vico Consolazione; 14) Pugliese Antonio, Vico Limoncello; 15) Monaco Raffaele, Vico Giganti; 16) Siniscalchi Rosa, Vico Purgatorio ad Arco; 17) Rumulo Antonio, Vico Purgatorio ad Arco; 18) Brancaccio Pasquale, Vico Storto Purgatorio, 19) Russomanno Alario, Vico Purgatorio; 20) Tomeo Simone, Strada Atri; 21) Metitieri Caterina, Strada Atri; 22) Ambrosio Gennaro, Vico Consolazione; 23) Gaito Maria Antonietta Raffaela, Vico San Giuseppe dei Ruffi; 24) Casaula Carmela, Strada Donnaregina; D’Argenio Carmine, Vico San Nicola a Nilo; 26) Mazzucchiello Francesco, Vico San Gregorio Armeno.
CASE MOBIGLIATE: 1) Palma Maria Giuseppe, Strada Tribunali; 2) Tipo Carlo, Vico Giganti; 3) Aleandra Giuseppe, Vico Purgatorio ad Arco; 4) Palumbo Salvatore, Strada Atri; 5) De Martino Raffaele, Vico Giganti.
1) De Lucia Gioacchino, Di Giove, Selleria; 2) Zampella Ferdinando, d’Ischia, Selleria; 3) Prinzo Pasquale, Commercio, Selleria; 4) Cappuccio Gaetano, Italia, Rua Francesca; 5) Picardi Pasquale, Degli Amici, Cassari; 6)Iappelli Luigi, De’ Negozianti, Strettoia degli Armieri; 7) Tramontano Domenico Dei negozianti, Tribunali; 8) Elia Luigi, Europa, Crocelle ai Mannesi; (9) Sangermano Giuseppe, Stella d’oro, Mannesi; 10) Montefusco Michele, Colomba d’Oro, Salvatore; 11) Lazzaro Giovanni Caffè e riposto, Loggia di Genova; 12) Adamo Cosmo, Buon Gusto, Loggia di Genova; 13) Franco Giovanni, Del Delfino, Marina; 14) Romano Saverio, San Biagio ai Taffettamari; 15) Mercolino Aniello, Dei Fiori, Largo Portanova; 16) Monarca Gennaro, Perfetta Amicizia, Tornieri; 17) Pesce Carmine, Nuovo Caffè, Largo Mannesi; 18) Pagano Raffaele, Antico Caffè Largo Mannesi; 19) Pantolesi Luigi Degli Amici, Fontana dei Serpi; 20) Minutolo Raffaele, Caffè, Violari; 21) Petrella Leopoldo, Della Fortuna, Fontana dei Serpi; 22) Di Giorgio Felice Della Fortuna, Pellettieri; 23) Vacca Michele Caffè, San Giovanni a Mare; 24) Martina Raffaele, Antico Caffè, Selleria; Giasco Gaetano, Commercio, Pendino; 26) Cacace Anna, Dell’Italia, Pendino; 27) Faenza Giuseppe, Ercolano, Strettola degli Armieri; 28) Persico Luigi, Dei Negozianti, Scalessie; 29) Pilasco Ferdinando, Della Fortuna, Tornieri; 30) Imbriaco Nunziato, Divino Amore, San Biagio dei Librari; 31) Serino Gaetano, Di Garibaldi, San Biagio dei Librari; 32) Pierno Pietro Paolo, De' Fiori, Forcella; 33) Serino Francesco e Gaetano, Di Garibaldi, Corpo di Napoli; 34) Esposito Carmine, Di Garibaldi, San Severo; 35) Falcone Pietro, Di Garibaldi, Sant'Arcangelo a Baiano; 36) Marenga Francesco, De’ Studiosi, Salvatore; 37) Pagnotta Luigi, Della Fortuna, Costanzi; 38) Martina Raffaele, Della Fortuna, Loggia di Genova; 39) Aquilaro Vincenzo, Della Rosa, San Biagio a Taffettamari; 40) Marra Giuseppe, Della Rosa, Loggia di Genova; 41) Rosa Vittorio, Caffè, Miroballo; 42) Caputo Luigi, Degli Amici, Armieri; 43) Guadagno Felice, Caffè Nuovo, Figurari, 44) Buonaiuto Francesco, De’ negozianti, Armieri.
Napole stà tutto ‘coppa a penziere, e ll’Italia tutta pare che fosse a la vigilia de na gran cosa, de na festa de famiglia, de no sposarizzio addesederato, de na chioppeta de confiette ca ll’ànno da chiovere dinto a lu mantesino da no momento a n’autro. La parola è una, lo mutto d’ordene è lo stesso ntra tutte quante, la voce che corre è voce comune: LA GUERRA. Finalmente. Nuje già ve l’avevamo assicurato, letture mieje, ‘nzi da quando tutte quante ll’autre parevano metterla ‘ndubbio, o non nce credevano affatto , e nuje dicevamo con a faccia a prova de ‘mbomma ca la guerra veneva, nn’eramo fortemente sicure, e conchiudevamo dicenno dinto a lu nummaro 30 nuosto “ve l’avrite d’arricordà”: Donga guerra? Guerra pe quanto è certo ca simmo vive. E assicurative ca non ce sarrà maje na bona pace si non avarrammo na bona guerra primmo. E tanto nisciuno se credeva ca la guerra se fosse affacciata veramente dinto all’Italia nosta. Ogneduno se ne faceva na risata; e tutte quante penzavano tanto all’avvecenarese de la guerra quanto io pozzo penzà a li diebbete de ll’amice mieie. Ma ogge pare ca lu cielo s’avesse voluto arricordà de nuje, accussì ‘nzicco ‘nzacco, quanno manco nce lu credevamo, e sotto l’impressione de la Vorza de lu commercio che se ne scenne a rrotola a rrotola ogne ghiurorno….. Ca lu governo vedenno mal’aria a Baia à mannato a chiammà a Zi Peppe (mo è buono Zi Peppé!) lu quale, sia ditto a annore e gloria soja, non s’è saputo annià, e corrarà a organizzà no nuovo corpo de volontarie, che sarranno commannate da isso, e avranno a soperiure purzì paricchie affizziale de ll’eserceto che se trovano all’aspettativa. Zi Peppe sta pe portà ‘nPiemonte da no momento all’autro; viva addonga Zi Peppe, e abbascio la Conzortaria. Via addonga la guerra e abbascio la camorra governativa.... Io si fosse quacche piezzo grusso, e, ‘vece de la sporta sotto e la lenterna mmano, portasse na sciabola trenante, e no revolvero a 45 colpe, vorria commannà io no poco la facenna, e agghiustà tutte le cose a modo mio. A primmo appetito l’avanguardia de ll’armata taliana la farrìa componere de tutte li camorriste ministeriale. Appriesso nce mettarria a Sella, Scialoja e Minghetti: chiste tre che sò nate co li tasse dinto e la coscienzia e che nce ànno appezentute cuotte e crude. Po Spaventa, Peruzzi, Rattazze tutto lo riesto de li conzorte taliane. Arreto o a fianco a chiste, li giornaliste co la livrera, zoé chille tale essere vennute ch’ànno la pagnotta a lu mese pe ncenzià tutte ll’azziune de li ministre. E accussì via discorrendo. A le pprimme cannunate se ne jarria pe ll’aria la camorra. A le sseconne lu terno de li crucefessure nuoste. A le tterze lu riesto dei chille ch’ànno ajutato a tirarce li piede. E restarriamo sule sule, cujete cujete, nuje, l’Italia e la gente de cuscienzia; Cola fra Ccola e lu Priore. Che bella cosa sarria! Ma lassammo fa a lu Cielo. Tutto sta a principia rese na cosa, e ogni pprencipio porta le conzequenzie soje appriesso a isso. Preparammoce a la guerra, jate coraggiose a la guerra e chello che bene appriesso lu ssape Ddio. MO PARE CA NCE SIMMO. LU TROVATORE. (Mercoledì 2 abrile 1866).
Bravo! Bravissimo, illustri rappresentanti del popolo, che sì fedelmente trattaste i grandi interessi dei vostri coabitanti del Sebeto! Abbiate i cento evviva, le mille grazie da parte di ognuno di noi, del paese tutto incantato dalle Sirene e continuate sempre nell’arringo così gloriosamente iniziato! Ma bando ormai all’ironia. Infedeli! Così si adempie il più sacro dei mandati! Così rispondesi alla fiducia che riposero in voi i vostri concittadini! Così si rappresenta un popolo eletto che vi chiamava a suoi fermi rappresentanti nel primo parlamento d’Italia! O credeste, signori deputati, che la elezione del popolo e l’altissimo onore a voi conferito fosse stato un semplice compenso ai vostri altissimi meriti che non mostraste di avere, ovvero un gratuito e doveroso coraggio alle altissime vostre virtù cittadine che pure non mostraste di possedere? Si, voi in buona fede doveste credere che la nomina a Deputato al parlamento Nazionale veniva fatta pei vostri esclusivi vantaggi, per ingraziarvi coi capi del governo, affinché seguendo ciecamente le sue pretensioni, e strisciando intorno ad esso poter buscare una qualche segreteria di stato, una nomina di governatore, di direttore o qualunque altra cari cuccia simile. Ma la sbagliaste, messeri nostri; ché la pubblica coscienza vi maledisse, condannò la vostra condotta e vi crede indegni del nome napolitano. Voi seguendo ciecamente la infausta politica del governo eccentrico di Torino, faceste in pochi mesi (oh prodigio straordinario di falsa politica) indietreggiare di mezzo secolo la patria nostra! Voi spegneste con la complicità del governo torinese il brio nazionale un dì tanto ingigantito nei focosi abitatori del Sebeto! Voi sanzionaste con la vostra passività la spoliazione del paese, la distruzione immatura di istituzioni secolari! Voi seminaste un malcontento così generale in tutte le classi della società nostra da non trovar riscontri negli annali della storia! Voi offendeste l’amor proprio di noi altri Napoletani additantoci come intemperanti presso il governo e lo rendeste sordo ai nostri giusti lamenti! Voi distruggeste inopportunamente la nostra autonomia governativa senza additare le risorse diverse pel gran numero di gente che rimaner doveva inoperosa dietro quella soppressione; e ciò consigliaste in momenti solenni in cui l’azione governativa doveva spiegarsi il più dappresso che si poteva alle località dove erano e sono tuttavia i più mostruosi disordini a riparare ed i più grandi interessi a regolare e proteggere! Voi niuna parola spendeste a pro dei generosi patrioti dell’armata napoletana che rifuggirono di combattere sotto il nefando vessillo borbonico, quando gli insolenti ministri Fanti e Ricasoli davano loro gli epiteti ignominiosi di traditori e vili!
No; la vostra Chiesa non raccoglie intorno a sé che una frazione di uomini, frazione che impicciolisce ogni giorno di più: la vostra autorità non dirige, non genera, non promuove la vita da ormai sei secoli: voi negate la facoltà che dovreste dirigere: negate, negando il lavoro da compirsi sulla Terra, gli strumenti che Dio ci diede a quell’uopo, negate l’intento divino di tutti i lavori dell’Umanità anteriori al presente: negate l’iniziazione al meglio contenuta nel Cristianesimo: negate la libera attività dell’uomo, senza la quale non è merito né demerito: negate i doni infusi (art. 80) ogni vostra missione a pro dell’incivilimento e del progresso degli uomini: negate i doni infusi da Dio in noi tutti sostituendo ad essi l’arbitrio d’una grazia largita ad alcuni: negate l’immortalità delal vita decapitando l’anima coll’Inferno: negate la perenne comunione di Dio colla sua creazione, decretando una doppia Umanità, Umanità della caduta e Umanità della redenzione: negate la Morale negando il nostro dovere di lavorare a istituire, per quanto è possibile, il regno di Dio sulla Terra e lasciando i nostri fratelli in preda alla tirannide, alla miseria, all’ignoranza, all’ingiustizia, all’errore: negate alle Nazioni il diritto di affermare la propria libera vita di affratellarsi nel bene di tutti colle nazioni sorelle, di scegliersi capi meritevoli della loro fiducia. Non affermate se non una cosa: che voi dovete essere Principe e possessore, senza obbligo alcuno verso l’Umanità, quella potenza e quei beni terrestri che intimate a noi di disprezzare. Fu tempo – e io guardo con riverenza – quando il papato affermava e guidava …….. No: la religione non è più con voi. Dio, anteriore a voi, anteriore a Gesù, è con noi, con noi seguaci della sua Legge, continuatori della Tradizione che ne rivela il disegno. Da Innocenzo III in poi, il Papato rinnegò vita e missione, per adorare se stesso, il proprio Potere, la materia. …… richiamammo a vita la Grecia, diminuimmo la miseria delle moltitudini, innalzammo la bandiera di Libertà per le oppresse Nazioni, emancipiamo oggi i negri d’America e fondiamo, avversati da voi, l’Italia. I martiri del Dovere sono tra quelli che voi chiamate increduli: i consolatori del povero sono tra quei che voi, servendo ai principi dai quali sperate protezione, dannate. A voi non resta che guaire indecorosamente, mendicare per vivere e maledire inascoltato, sprezzato. Scendete dunque da un trono sul quale voi non siete più Papa, ma tiranno volgare e mantenuto da soldati d’altri tiranni. Voi sapete di essere in Roma, quando quei soldati non ricingano il vostro Conclave, l’ultimo Papa. L’Umanità ebbe la religione del padre e quella del Figlio. Date il varco alla religione dello Spirito. Come papa vi accusano l’impotenza di seicento anni, la diserzione di ogni precetto di Gesù, la fornicazione coi tristi principi della terra, l’idolatria delle forze sostituita allo spirito della religione, l’immoralità fatta sistema negli uomini che vi circondano, la negazione di ogni progresso sancita da voi medesimo come condizione della vostra vita. Come re, vi accusano il sangue di Roma e l’impossibilità di rimanervi un sol giorno, se non per forza brutale. Riconciliatevi con Dio. Coll’Umanità non potete. F.to Giuseppe Mazzini.
Il 6 settembre 1615, il vescovo di Nola in persona, mons. Giovanni Battista Lancillotti, esegue la visita pastorale nella chiesa parrocchiale di Valle (antico nome di Pompei n. d. r..), dedicata al Santissimo Salvatore. Lo accoglie in pompa magna don Domenico Bottone che ricorda, innanzi tutto, il suo impegno di celebrare la messa tre volte la settimana, il mercoledì, il venerdì e il sabato. I parrocchiani sono sessanta, di cui venticinque possono avvicinarsi alla confessioone e alla comunione, come hanno fatto tutti nell'ultima festività di precetto.
La chiesa parrocchiale di Torre Annunziata, intitolata alla Santissima Annunziata, viene affidata ai monaci dell'ordine dei Celestini da Nicola di Alagno, feudatario di Rocca Rainola e di Torre Annunziata, secondo le linee del rogito stilato, il 29 novembre 1498, dal notaio Geronimo de Tossis. Infatti, l'ordine monastico si impegna a curare spiritualmente le anime torresi, ad esprimere due sacerdoti ed un chierico, addetti alla celebrazione delle messe e dei doveri religiosi, a somministrare i sacramenti ai fedeli, a donare al vescovo di Nola un "castrato" con le corna d'oro, simbolo dell'obbedienza, in occasione della festività di San Marco Evangelista. Tra le pareti ecclesiastiche insiste la confraternita laicale del Santissimo Sacramento, fondata il 27 novembre 1543. Secondo le norme statutarie, i confratelli, rapppresentati da due maestri,si impegnano a rispettare i seguenti doveri: mantenere accesa la lampada davanti al tabernacolo; accompagnare il Santissimo Sacramento a casa degli infermi; somministrare la cera; organizzare la processione a loro spese ogni terza domenica del mese; far celebrare una messa cantata. Ne ribadisce tutti gli impegni padre Francesco di Taranto, priore del monastero della suddetta chiesa, sabato 5 dicembre 1615, durante la visita pastorale del vescovo di Nola, mons. Giovanni Battista Lancillotti. L'occasione è opportuna per comunicare il numero dei parrocchiani, fermo a seicento, di cui ducentosessanta idonei a ricevere la confessione e la comunione, come hanno fatto nell'ultima festività di precetto. Invece, i soci della confraternita del Santissimo Sacramento sono novanta, i cui maestri durano in carica da tre anni. A fronte di questa affermazione, cconfliggente con il regolamento vigente, viene ingiunto al priore, sotto pena di scomunica, di indire entro l'ottava del Santissimo Corpo di Cristo l'assemblea generale di confratelli, deputata ad eleggere i nuovi amministratori, ai quali va reso il rendiconto amministrativo da parte di quelli attualmente in carica. Quindi l'attenzione dei visitatori volge sull'altare del Santissimo Rosario, che appartiene all'omonima confraternita, i cui maestri sono Battista Pagano e Nunziato Santillo. Proprio questi ultimi, presentando le bolle della sua fondazione, risalente al 7 marzo 1593, comunicano che i soci sono quaranta. Infine, essi affermano che la confraternità non ha alcuna rendita, ma vive di elemosine giornaliere.
Lunedì (16 maggio 1862) vedevasi spettacolo miserando ed atroce – meglio che 50 cittadini, ammanettati, pervenire ordinati in lunga catena, da Salerno; e condotti, come ad insulto della legge, nella Questura di Napoli, ed ivi così legati, rimanere nel cortile senz’avere dove posare, dove sedere; per poi passare la notte in carcere. Fra essi vedevi uomini di ogni età, di ogni condizione, godere la eguaglianza dei ferri nei polsi, ed affratellati così a due a due! Compiva questo quadro desolante una quantità di donne di ogni età, giovinette sedicenni, delle pregnanti, e di quelle con bimbi al seno e le culle per bagaglio! Tutti erano dal Prefetto Bardessono mandati a domicilio coatto, per la famosa legge Pica, della quale si è usato ed abusato ad esuberanza. Se fra quella gente vi fossero dei veri manutengoli, ignoriamo; ma che di certo le femmine ed i bimbi fossero così trattati, è un oltraggio alla giustizia, all’umanità – e mostra l’incapacità di quel Prefetto, che avendo un esercito quasi nella sua provincia, non sa snidare i briganti e teme delle donne! Fra quei cittadini legati ed ammanettati faceva meraviglia il riconoscere il Sindaco e ad un tempo Giudice Supplente Rascio, il sig. Scipione Ronsini noti liberali e benemeriti della patria; e se il sig. Bardessono ha in questi altri ammanettati, puniti uomini, come il sig. Rascio e Ronsini, è da credere che gli sia entrato nella mente il pensiero di emulare e sorpassare i fasti della polizia borbonica. Perché si abbino il pubblico ed il ministero notizia del vero, diremo del sig. Ronsini i particolari, riserbandoci dire quelli di esso Rascio. Per ora diremo sul conto di esso Rascio che la giunta municipale del suo paese certifica non solo di aver contribuito all’attuale ordine di cose, ma di essere stato attendibile politico sotto il passato governo. Scipione Ronsini, fin dal 1847 era per fede politico unitario. Nel 1848 si pose alla testa di una colonna insurrezionale col comitato del Vallo per rivendicare la libertà del paese contro la mala signoria. Ebbe indi 12 anni della sua efferata persecuzione borbonica. Nel 1860 a sue spese formò una colonna di 95 uomini ed aggiunse a quella 24 volontari ed andò ad ingrossare le file sotto Capua contro l’esercito borbonico. Nel recarsi a raggiungere la sua colonna fu derubato di quanto aveva per essere stato assalito dai ladri al luogo detto Tomba del Capitano; ed è storico e noto a tutti i Vallesi! Nello steso anno riusciva a sventare nel Caffè d’Italia una cospirazione infernale contro il re Vittorio Emmanuele, ordita in via Foria: fatto che gli stessi moderati non ignorano. Egli curò la presentazione di un numero considerevole di sbandati del Comune di Rofrano. Discopriva e sventava una reazione organata, dandone notizia al delegato sig. Guarracino: erano oltre 60 i congiurati e ne furono molti arrestati …………. Non ha guari il sig. Bardessono recavasi in un paese, (se non andiamo errati Acerno) e volendo fare ivi molti arresti e non potendolo, senza il parere della Commissione se non poteva avere tale parere, perché non sapeva egli stesso chi dovesse arrestare, e perché) disse alla Commissione: datemi il voto di fiducia; e docili e docili i componenti della Commissione s’inchinarono e dettero il voto di fiducia! Ritornava il Bardessono da colà, seguito da gente di ogni età e di ogni sesso, ammanettati e legati: e arrivato al suo palazzo in Salerno, discese e fece in aria di fatuo trionfo, passare innanzi a sé quei mal capitati: Da questo stato di cose, l’incognita del nostro problema, interno, spaventa ogni animo onesto e liberale.Dio salvi il paese ….
L’Italia ha il primato degli omicidi, diceva un mese fa il Ministero in una sua statistica, e il Times allora si rise di Vincenzo Gioberti e dell’antico primato morale e civile degli Italiani. Ma i primi a rendersi rei di omicidio sono i deputati del regno, sono i nostri legislatori! In brevissimo tratto di tempo due onorevoli vennero accusati d’omicidio: il deputato di Teggiano, Matina Giovanni, e il deputato di Militello, Maiorana – Cuccuzzella Salvatore. E tanto l’uno quanto l’altro sono deputati antichi, che già presero parte a tre legislature, l’ottava, la nona e la decima. Che se noi volessimo giudicare dei deputati come essi dei preti, trovandone tra quattrocentodue omicidi, ognuno pensi che cosa potremmo darne! Ma il peggio è l’impunità che sembra volersi accordare a questi omicidi onorevolissimi. Il deputato Maiorana – Cuccuzzella fu bensì arrestato, non essendo aperta la Camera, ma oggi che ripigliò i suoi lavori, incominciano le formalità e le discussioni se l’omicida sia stato o no legalmente arrestato! Il procuratore generale di Catania indirizzò al guardasigilli la seguente domanda che egli trasmetteva ai deputati nella tornata del 23 novembre. Il 26 novembre i deputati, riuniti in Comitato provato, invece di accordare subito ogni licenza, nominarono una commissione che domanderà gli atti del processo, li esaminerà e deciderà il da farsi. Come? Un povero giovane, Francesco Lacanà, è stato trucidato; i più gravi indizi pesano su di un deputato, e voi esitate, o onorevoli, a permettere il processo? Ma non dovreste essere i primi a provocarlo? Non ne va di mezzo l’onor vostro ed il bene di tutti? Il deputato Matina, che a forza di lungaggini si lasciò fuggire, non vi è bastante rimprovero? E poi direte che son gli antichi Governi la ragione di tanti omicidi che si commettono in Italia! Passi l’impunità accordata ai deputati che uccisero i loro avversari in duello; passino gli indugi del processo Lobbia, che, secondo il tribunale non arrecò male che a se stesso democraticamente assassinandosi; ma il fatto di Militello è così orribile, così scandaloso che richiede un pronto e solenne processo, e noi lo pretendiamo in nome della morale e della giustizia (Unità cattolica, 28 novembre 1869).