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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Questo libro vuole essere un omaggio alla figura del magistrato Aniello Ambrosio, personalità di alto profilo valoriale che ha dato lustro alla comunità sangiuseppese.
Finora la sua presenza, priva di un'adeguata biografia scritta, è stata avvertita per via indiretta con accenni sussurrati a fior di labbra. Anzi abbiamo corso il rischio di perdere definitivamente una interessante testimonianza della nostra storia.
Fortunatamente ne ha tenuto acceso il ricordo la prof. ssa Lilia Giugliano Ambrosio la quale, avendo espanso l'affetto familiare in una dimensione altamente civica, ha riannodato il legame tra passato e presente, senza il quale non è possibile nemmeno congetturare il futuro.
Sulla base di tale principio ella continua ad organizzare da undici anni un evento di alta caratura culturale, intitolato "Premio Aniello Ambrosio", che funge da punto di riferimento per coloro che militano attualmente nell'ambito della magistratura ed è finalizzato a mostrare alle giovani leve l'alto esempio di un predecessore ancora degno della loro attenzione e della loro ammirazione.
Nel frattempo cresceva in me il desiderio di trovare materiale bibliografico, indispensabile per disegnare un quadro d'insieme nel merito. Spinto da tale bisogno forte, che alimenta da tempo la mia passione verso il nostro vissuto, già tradotta in alcuni volumi, mi sono cimentato sul campo in privato e in silenzio su diverse piste di ricerca. Attraverso una ricognizione sistematica, costellata da molteplici tentativi, finalmente sono riuscito nell'intento prefissato.
Ancora una volta l'Archivio di Stato di Napoli, in omaggio alla continuità delle presenze personali, non ha deluso le mie aspettative, consegnandomi molteplici documenti i quali, attraverso la ricognizione interrelata, hanno arricchito il materiale a disposizione. Le carte fin dal primo contatto hanno confermato l'intuizione iniziale: il magistrato è il prototipo del profumo della toga, come recita il titolo del libro, in quanto si caratterizza per profonda professionalità e integrità di vita. Ne costituiscono altrettante prove le diverse tappe della sua vita, seguita passo dopo passo in tutte le sue fasi: dalla prima formazione agli anni liceali, dalla laurea in giurisprudenza al superamento del concorso per accedere alla magistratura, dal servizio espletato nelle molteplici sedi con funzioni diverse alle altre occupazioni onorifiche. Ovunque egli riscuote stima e lodi, sistematicamente conservate nel fascicolo personale e negli attestati pubblici. Tutto questo costituisce il frutto di un composito disegno che viene da lontano, fatto di discrezione caratteriale, di acutezza analitica, di impegno quotidiano nel lavoro, di sacrificio ad affrontare qualunque novità presentata dalla sua professione al contatto con la viva realtà. Naturalmente il tragitto non è sempre all'insegna della tranquillità. Tentativi di inquinare la secchiata azione morale e giuridica del magistrato ce ne sono stati. Attacchi vili, lettere anonime, voci false propalata ad arte, hanno provato a intimidire e a frenare il suo impegno. Nel silenzio e nel rigore, dovuti al rispetto del ruolo istituzionale occupato, il magistrato Ambrosio ha continuato ad interpretare secondo verità il compito di custode della legalità e di costruttore sociale di verità. A fronte di tanta forza e di tanta esemplarità, valide ieri e oggi, sento la gioiosa fierezza di aver dato voce ad un illustre sangiuseppese che arricchisce notevolmente la nostra comunità. Nel contempo mi auguro che provi vergogna chi, non rendendosi conto del suo importante ruolo, osa profanare la toga, macchiandosi di una colpa gravissima. Noi, attratti dal profumo della toga, continueremo sempre a guardare verso il magistrato Aniello Ambrosio e verso quanti si comportano lungo questa scia. (LUIGI IROSO, ANIELLO AMBROSIO.
IL PROFUMO DELLA TOGA).
Onorevoli colleghi! Sono costretto a intrattenere brevemente la Camera sulle condizioni annonarie della mia città nativa, condizioni che si sono aggravate molto dopo la fine della guerra.
Per quattro anni di guerra la nostra Napoli ha sofferto pazientemente. Purtroppo il sevizio di approvvigionamento è stato abbastanza trascurato, ma ora in questi ultimi tempi le cose si sono aggravate a tal punto da rendere quasi impossibile la vita. La sommossa popolare che si è potuto credere che nella nostra Napoli sia stata frutto della teppa, è stata ben altro, è stata la esplosione della compressa pazienza del popolo napoletano che per quattro lunghi anni ha sopportato addirittura la fame.
Comprendo che parlare in genere di approvvigionamenti è una questione molto grave, perché gli approvvigionamenti mettono capo ad altri gravi problemi quali sono la produzione, l’esportazione, il trasporto, il prezzo e via dicendo.
Il Governo provvede tutte le città ed in genere tutti i comuni e quindi anche Napoli, mediante l’Ente autonomo dei consumi e mediante i consorzi provinciali.
L’Ente autonomo non è che l’alter ego del consorzio, ma entrambi stanno alla diretta dipendenza del Ministero e dei prefetti.
Ora, come ho detto, le condizioni di Napoli durante la guerra sono andate sempre più peggiorando, tanto che il servizio annonario faceva acqua da tutte le parti. Finita la guerra, Napoli credeva di avere un certo sollievo; invece le sue condizioni sono peggiorate ancora di più.
L’Ente autonomo dei consumi riceve gli approvvigionamenti direttamente dal Ministero e passa tutto quello che crede all’Annona, gravandolo di un sovrapprezzo, come già lo ha gravato il Ministero. Alla sua volta l’Annona passa i generi ai grossisti e questi li passano ai dettaglianti, di modo che un genere che costa 10, dopo un lungo giro, finisce per costare tre o quattro volte tanto e quindi il consumatore viene a pagare la merce molto di più di quello che realmente costa.
L’Ente autonomo, che ha funzionato abbastanza male ai tempi del Matarazzo, ora funziona peggio con la connivenza del prefetto. Ed in realtà posso dimostrare che alcune Opere pie, appoggiate dal prefetto e dall’Ente autonomo, vendono i buoni loro assegnati con un guadagno di tre o quattro volte tanto.
Posso depositare al banco del Governo una nota dell’Albergo dei poveri che ha ottenuto diverse casse di olio che a sua volta ha rivenduto a caro prezzo. E non solo, ma posso anche presentare una bolletta dell’ufficio doganale o meglio della Cooperativa dei doganieri che ha ricevuto buoni dall’Ente autonomo e che poi ha rivenduto le merci a caro prezzo.
Come si vede, tutto questo costituisce una truffa e una sottrazione che si commettono a danno del consumatore. Le condizioni della città di Napoli sono ridotte a tal punto che i generi mancano addirittura. Prima, in certo modo, si avevano pagando, ora, anche pagando, non si può avere nulla: prima la piazza era provvista, ora è completamente sguarnita.
E, d’altra parte, posso dire che, mentre l’Ente autonomo, come una lustra, ha aperto addirittura delle botteghe ambulanti sulle piazze, cosa che certo può conoscere l’onorevole sottosegretario di Stato per l’interno, napoletano come me, in alcune piazze senza riguardo alcuno per l’igiene si vendono burro, strutto ed altri generi su tavole fetide: tutto ciò per fare concorrenza ai dettaglianti.
Io non difendo i dettaglianti, ma, una volta che si fa questo sperpero dalla Prefettura e dall’Ente autonomo, sarebbe meglio che il Ministero venisse addirittura a contatto con i dettaglianti.
Potrei anche dire che di molti generi, come ad esempio il salmone e il pesce salato, che si sa in che modo sono desiderati dalle classi povere e dagli operai, la Prefettura e l’Ente autonomo hanno fatto il bel gesto di darne diverse casse a semplici privati, che le hanno poi rivendute a carissimo prezzo.
Tutto questo, signori del Governo, è una speculazione bella e buona. Potrei presentare altre note di diversi così detti Istituti di beneficenza, che ricevono dalla Prefettura e dall’Ente autonomo buoni, che rivendono poi in piazza.
Tutto questo, onorevoli signori del Governo, voi potete impedire in modo molto semplice, attuando quello che il collega Murialdi ha proposto fin dalla prima tornata, cioè di venire a contatto direttamente con il consumatore.
Ma, poiché diversi giorni sono passati e a Napoli non si è fatto nulla, è giusto che la voce di un deputato napoletano si levi per protestare altamente.
Giacché ho la facoltà di parlare, mi permetto di pregare il ministro dell’interno, tanto bene rappresentato dall’onorevole sottosegretario di Stato, a volere in certo modo tenere fede a Napoli circa i lavori da concedersi.
Nella nostra città specialmente l’operaio versa in condizioni disagiate, perché molti stabilimenti sono stati costretti a rinunziare all’opera volenterosa degli operai napoletani. Occorre che, indipendentemente dal servizio di approvvigionamento, il Ministero dia lavoro a quelle officine, che hanno lavorato durante la guerra. E’ opera patriottica di fronte ad una città e ad una provincia, che non sono state seconde a nessuno per patriottismo e per fede.
Da molto tempo desideravo di fare quest’ascensione, che sto per narrare, ma le occupazioni di scuola e la rigidezza dell’inverno, per cui in quest’anno fin nell’aprile sono state molto spesso coperte di neve le cime del Monte Somma e del Vesuvio, me l’avevano impedita, tanto più che un’ascensione, fatta sul Vesuvio in inverno, mi aveva mostrato che di questa stagione l’ascesa sui lapilli presenta speciali difficoltà, perché alle volte, pel freddo i lapilli sono quasi conglutinati dal ghiaccio.
Perciò, quando, profittando del bel tempo delle feste di Pasqua, presi la vettura per recarmi ad Ottaiano, dove mi aspettava l’alpinista e collega Giuseppe Giordano, che, essendo di quei luoghi, doveva essermi compagno dell’ascensione, io era felice e più che mai impaziente di raggiungere la coma del Monte Somma, che superbo e come in atto di sfida continuamente torreggia alla destra del viaggiatore, che da Napoli va ad Ottaiano, passando per le amene campagne, che si estendono ad oriente di Napoli e per i bellissimi paeselli, che fanno corona al cono del Vesuvio.
Dopo un paio di ore di carrozza, giunsi ad Ottaiano, dove l’amico Giordano mi accolse a braccia aperte. Subito ci mettemmo in giro alla ricerca di compagni nell’ascensione della montagna, come per antonomasia in quelle contrade chiamano il Monte Somma. La mattina seguente verso le ore 6,30, riunitici in sei persone, ché a me e a Giordano si erano risoluti di unirsi altri quattro colleghi, ci mettemmo in cammino.
Prima di avviarci, permettano i lettori che io, per essere più chiaro e spiccio in seguito, dica qualche cosa della storia e della topografia di questi luoghi. Anticamente, fino alla terribile eruzione del 79, che distrusse Pompei, il Vesuvio, come ora gli spenti vulcani dei campi Flegrei, presentava la forma di un cono tronco alla sommità, ove vaneggiava una grande depressione imbutiforme. Così infatti ce lo descrive Strabone. Poi nell’eruzione del 79 si formò l’attuale cono vesuviano, al quale si è ristretto il nome di Vesuvio, mentre si dà quello di Monte Somma ai resti dell’antico Vesuvio, che prima ne costituivano la parete settentrionale.
Noi dovevamo salire sul Monte Somma, il quale presenta l’aspetto di un monte semicircolare, come un enorme mantello, che avvolge il Vesuvio verso il nord. La sua vetta è molto frastagliata, ma le buone carte vi segnano tre punte principali: Monte Trocchio (m. 1092) che è la più occidentale, visibile da Napoli; Monte Ottaiano (m. 1114), che è la più orientale; e Punta Nasone (m. 1137), tra le due precedenti.
Per l’ascensione del Monte Somma vi sono tre vie: una lunga, ma comoda che da Massa va sul Monte Trocchio, e che è la più vicina a Napoli; una, e questa è la più breve, va da Somma sulla Punta Nasone, quasi sempre tra la vegetazione; la terza, che è la più lontana da Napoli, parte da Ottaiano e lascia più presto la vegetazione, la quale, invece, si estende quasi fino alla cima del Monte, dalla parte di Massa e di Somma.
La via, che noi scegliemmo, cioè quella di Ottaiano, parte dalla piazza San Angelo di questo paese, e sale sempre verso sud – ovest, fino al palazzo del principe di Ottaiano. Quivi giunta, non è più selciata, e devia verso destra, sboccando in uno dei tanti letti di torrenti, che discendono dai fianchi del Monte Somma. La via attraversa per poco questo letto di torrente e poi devia a sinistra, in mezzo a campi coltivati, cui subito seguono i boschi. Quivi la via è abbastanza malagevole, e più su, essa non è altro che il solco, che si sono scavate le acque, mettendo così a nudo gli strati di pomici e di sabbia, ognuno dei quali ci rappresenta l’effetto e il documento di un periodo eruttivo.
Poco dopo cessa affatto ogni traccia di via, perché si raggiungono i lapilli nericci e incoerenti, fra i quali in sul principio scarse e rachitiche macchie di castagni tentano ancora di spingersi. Più su nulla altro che lapilli, quegli stessi che rendono così penosa l’ascensione dell’ultimo tratto del Vesuvio. Noi raggiungemmo questo limite della vegetazione verso le 7,30, e freschi ed ilari imprendemmo la salita sui lapilli, che è meno difficile di quella del cono vesuviano, perché il pendio è meno ripido.
Alle 8 arrivammo alla fossa della neve, un 300 m. sotto la vetta, a nord – nord – est di Ottaiano, ove ci fermammo fino alle 8,30. Poi incominciammo di nuoco a salire, poggiando a destra ed avendo alle spalle il sole, che coi suoi raggi ci rendeva più penosa la salita. Alle 9 raggiungemmo la punta Ottaiano.
Agostino Maria Galdieri, alunno della classe terza del Liceo “A. Genovesi”, sabato 20 aprile 1889.
(prima parte).
La bellezza del panorama, che si offrì ai nostri occhi, ci compensò ad usura della lieve fatica durata. Il tempo era splendido e l’atmosfera non conteneva che scarse tracce di vapori , sicché, nonostante l’ora poco favorevole, tutti i monti e le pianure circostanti erano nettamente visibili.
Di fronte a noi a poca distanza si disegnava sull’azzurro purissimo del cielo il profilo gigantesco del cono vesuviano che, a poco a poco, appare in tutta la sua mostruosa grandezza dinanzi a quelli che salgono al Monte Somma. La sua cima, sormontata da un bianco pennacchio di fumo, ci appariva qua e là tappezzata dalle larghe macchie giallastre delle fumarole.
Ecco Napoli e tutti i vulcani spenti dei campi Flegrei, che sembrano pigmei innanzi a questo antico colosso; di là dal golfo di Napoli quello di Pozzuoli e poi il Tirreno e le isole di Procida e di Ischia.
Ecco Capri e Castellammare ai piedi del seducente Monte Sant’Angelo a tre pizzi. Ecco la ricca pianura del Sarno, terminata dalle colline di Palma, che di qui appaiono, al pari di quelle di Nola, come tanti mucchi di sabbia bluastra.
Ecco le lontane vette del Terminio, del Taburno, dei Tifatini ed, alla fine del giro, la pianura campana , tutta sparsa di paesi e di ville.
Per un momento pensammo di discendere nell’Atrio del Cavallo, discesa piuttosto pericolosa, perché la parete interna del Monte Somma, di colore rossiccio e ricca di minerali, è quasi a picco, e le rocce, scabrose e sporgenti, sono in pochi punti coperte di sabbia mobilissima.
Dovemmo smetterne il pensiero per la tirannia del tempo, e solo mi contentai di staccare dall’interna parete parecchi saggi, fra cui uno tappezzato di bellissimi cristallini di oligisto ed un saggio di calcare, che ancora conservava la sua struttura cristallina.
Alle undici incominciammo a discendere per la stessa parte, donde eravamo saliti ed in pochi minuti a sbalzi e a saltelloni, fra il crepitio metallico dei lapilli, tanto penosi ad ascendersi quanto piacevoli a discendersi, arrivammo nel terreno coltivato.
Qui ci tenemmo a sinistra della via, che avevamo fatto al salire, passando di tanto in tanto sopra correnti di lava antichissima, le cui morene laterali erano quasi scomposte; e nelle quali rinvenni dei bei cristalli di leucite di discreta grandezza.
Più innanzi sotto uno strato di lava vi è una piccola caverna, sul fondo della quale, in una specie di bacino poco profondo, si raccoglie dell’acqua freschissima, che ci fu di grande ristoro ad onta del suo sapore spiccatamente alcalino, dovuto ai sali alcalini, che l’acqua toglie alle lave specialmente se scomposte, attraversandone gli strati.
Girandovi poi la carcava dei cuorvi, che è una bellissima balza formata da una cascata di lava, ci rimettemmo di nuovo nella via fatta per salire, poco prima del palazzo del Principe.
Essendoci fermati parecchie volte per via, ad osservare parecchi fenomeni geologici, che rendono così interessante questa ascensione, verso l’una p. m. arrivammo in Ottaiano.
Pranzammo col migliore appetito del mondo, e poi, licenziatomi dal mio gentilissimo ospite Giordano, ripartii per Napoli, soddisfatto e contento di quest’ascensione così bella e così trascurata dagli alpinisti, i quali tutti si dirigono esclusivamente al Vesuvio, contentandosi di ammirarne da lungi l’antico progenitore, dalla cui cima intanto si gode un panorama anche più bello e più completo, e che ha grandissima importanza sotto il punto di vista della botanica, della mineralogia e della geognosia.
Agostino Maria Galdieri, alunno della classe terza del Liceo “A. Genovesi", sabato 20 aprile 1889.