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ASCENSIONE AL MONTE SOMMA (SECONDA PARTE)
La bellezza del panorama, che si offrì ai nostri occhi, ci compensò ad usura della lieve fatica durata. Il tempo era splendido e l’atmosfera non conteneva che scarse tracce di vapori , sicché, nonostante l’ora poco favorevole, tutti i monti e le pianure circostanti erano nettamente visibili.
Di fronte a noi a poca distanza si disegnava sull’azzurro purissimo del cielo il profilo gigantesco del cono vesuviano che, a poco a poco, appare in tutta la sua mostruosa grandezza dinanzi a quelli che salgono al Monte Somma. La sua cima, sormontata da un bianco pennacchio di fumo, ci appariva qua e là tappezzata dalle larghe macchie giallastre delle fumarole.
Ecco Napoli e tutti i vulcani spenti dei campi Flegrei, che sembrano pigmei innanzi a questo antico colosso; di là dal golfo di Napoli quello di Pozzuoli e poi il Tirreno e le isole di Procida e di Ischia.
Ecco Capri e Castellammare ai piedi del seducente Monte Sant’Angelo a tre pizzi. Ecco la ricca pianura del Sarno, terminata dalle colline di Palma, che di qui appaiono, al pari di quelle di Nola, come tanti mucchi di sabbia bluastra.
Ecco le lontane vette del Terminio, del Taburno, dei Tifatini ed, alla fine del giro, la pianura campana , tutta sparsa di paesi e di ville.
Per un momento pensammo di discendere nell’Atrio del Cavallo, discesa piuttosto pericolosa, perché la parete interna del Monte Somma, di colore rossiccio e ricca di minerali, è quasi a picco, e le rocce, scabrose e sporgenti, sono in pochi punti coperte di sabbia mobilissima.
Dovemmo smetterne il pensiero per la tirannia del tempo, e solo mi contentai di staccare dall’interna parete parecchi saggi, fra cui uno tappezzato di bellissimi cristallini di oligisto ed un saggio di calcare, che ancora conservava la sua struttura cristallina.
Alle undici incominciammo a discendere per la stessa parte, donde eravamo saliti ed in pochi minuti a sbalzi e a saltelloni, fra il crepitio metallico dei lapilli, tanto penosi ad ascendersi quanto piacevoli a discendersi, arrivammo nel terreno coltivato.
Qui ci tenemmo a sinistra della via, che avevamo fatto al salire, passando di tanto in tanto sopra correnti di lava antichissima, le cui morene laterali erano quasi scomposte; e nelle quali rinvenni dei bei cristalli di leucite di discreta grandezza.
Più innanzi sotto uno strato di lava vi è una piccola caverna, sul fondo della quale, in una specie di bacino poco profondo, si raccoglie dell’acqua freschissima, che ci fu di grande ristoro ad onta del suo sapore spiccatamente alcalino, dovuto ai sali alcalini, che l’acqua toglie alle lave specialmente se scomposte, attraversandone gli strati.
Girandovi poi la carcava dei cuorvi, che è una bellissima balza formata da una cascata di lava, ci rimettemmo di nuovo nella via fatta per salire, poco prima del palazzo del Principe.
Essendoci fermati parecchie volte per via, ad osservare parecchi fenomeni geologici, che rendono così interessante questa ascensione, verso l’una p. m. arrivammo in Ottaiano.
Pranzammo col migliore appetito del mondo, e poi, licenziatomi dal mio gentilissimo ospite Giordano, ripartii per Napoli, soddisfatto e contento di quest’ascensione così bella e così trascurata dagli alpinisti, i quali tutti si dirigono esclusivamente al Vesuvio, contentandosi di ammirarne da lungi l’antico progenitore, dalla cui cima intanto si gode un panorama anche più bello e più completo, e che ha grandissima importanza sotto il punto di vista della botanica, della mineralogia e della geognosia.
Agostino Maria Galdieri, alunno della classe terza del Liceo “A. Genovesi", sabato 20 aprile 1889.
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