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Da molto tempo desideravo di fare quest’ascensione, che sto per narrare, ma le occupazioni di scuola e la rigidezza dell’inverno, per cui in quest’anno fin nell’aprile sono state molto spesso coperte di neve le cime del Monte Somma e del Vesuvio, me l’avevano impedita, tanto più che un’ascensione, fatta sul Vesuvio in inverno, mi aveva mostrato che di questa stagione l’ascesa sui lapilli presenta speciali difficoltà, perché alle volte, pel freddo i lapilli sono quasi conglutinati dal ghiaccio.
Perciò, quando, profittando del bel tempo delle feste di Pasqua, presi la vettura per recarmi ad Ottaiano, dove mi aspettava l’alpinista e collega Giuseppe Giordano, che, essendo di quei luoghi, doveva essermi compagno dell’ascensione, io era felice e più che mai impaziente di raggiungere la coma del Monte Somma, che superbo e come in atto di sfida continuamente torreggia alla destra del viaggiatore, che da Napoli va ad Ottaiano, passando per le amene campagne, che si estendono ad oriente di Napoli e per i bellissimi paeselli, che fanno corona al cono del Vesuvio.
Dopo un paio di ore di carrozza, giunsi ad Ottaiano, dove l’amico Giordano mi accolse a braccia aperte. Subito ci mettemmo in giro alla ricerca di compagni nell’ascensione della montagna, come per antonomasia in quelle contrade chiamano il Monte Somma. La mattina seguente verso le ore 6,30, riunitici in sei persone, ché a me e a Giordano si erano risoluti di unirsi altri quattro colleghi, ci mettemmo in cammino.
Prima di avviarci, permettano i lettori che io, per essere più chiaro e spiccio in seguito, dica qualche cosa della storia e della topografia di questi luoghi. Anticamente, fino alla terribile eruzione del 79, che distrusse Pompei, il Vesuvio, come ora gli spenti vulcani dei campi Flegrei, presentava la forma di un cono tronco alla sommità, ove vaneggiava una grande depressione imbutiforme. Così infatti ce lo descrive Strabone. Poi nell’eruzione del 79 si formò l’attuale cono vesuviano, al quale si è ristretto il nome di Vesuvio, mentre si dà quello di Monte Somma ai resti dell’antico Vesuvio, che prima ne costituivano la parete settentrionale.
Noi dovevamo salire sul Monte Somma, il quale presenta l’aspetto di un monte semicircolare, come un enorme mantello, che avvolge il Vesuvio verso il nord. La sua vetta è molto frastagliata, ma le buone carte vi segnano tre punte principali: Monte Trocchio (m. 1092) che è la più occidentale, visibile da Napoli; Monte Ottaiano (m. 1114), che è la più orientale; e Punta Nasone (m. 1137), tra le due precedenti.
Per l’ascensione del Monte Somma vi sono tre vie: una lunga, ma comoda che da Massa va sul Monte Trocchio, e che è la più vicina a Napoli; una, e questa è la più breve, va da Somma sulla Punta Nasone, quasi sempre tra la vegetazione; la terza, che è la più lontana da Napoli, parte da Ottaiano e lascia più presto la vegetazione, la quale, invece, si estende quasi fino alla cima del Monte, dalla parte di Massa e di Somma.
La via, che noi scegliemmo, cioè quella di Ottaiano, parte dalla piazza San Angelo di questo paese, e sale sempre verso sud – ovest, fino al palazzo del principe di Ottaiano. Quivi giunta, non è più selciata, e devia verso destra, sboccando in uno dei tanti letti di torrenti, che discendono dai fianchi del Monte Somma. La via attraversa per poco questo letto di torrente e poi devia a sinistra, in mezzo a campi coltivati, cui subito seguono i boschi. Quivi la via è abbastanza malagevole, e più su, essa non è altro che il solco, che si sono scavate le acque, mettendo così a nudo gli strati di pomici e di sabbia, ognuno dei quali ci rappresenta l’effetto e il documento di un periodo eruttivo.
Poco dopo cessa affatto ogni traccia di via, perché si raggiungono i lapilli nericci e incoerenti, fra i quali in sul principio scarse e rachitiche macchie di castagni tentano ancora di spingersi. Più su nulla altro che lapilli, quegli stessi che rendono così penosa l’ascensione dell’ultimo tratto del Vesuvio. Noi raggiungemmo questo limite della vegetazione verso le 7,30, e freschi ed ilari imprendemmo la salita sui lapilli, che è meno difficile di quella del cono vesuviano, perché il pendio è meno ripido.
Alle 8 arrivammo alla fossa della neve, un 300 m. sotto la vetta, a nord – nord – est di Ottaiano, ove ci fermammo fino alle 8,30. Poi incominciammo di nuoco a salire, poggiando a destra ed avendo alle spalle il sole, che coi suoi raggi ci rendeva più penosa la salita. Alle 9 raggiungemmo la punta Ottaiano.
Agostino Maria Galdieri, alunno della classe terza del Liceo “A. Genovesi”, sabato 20 aprile 1889.
(prima parte).
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