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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il deputato Giuseppe Ferrari, in una famosa seduta parlamentare, svoltasi nel mese di ottobre 1860, il cui ordine del giorno verte sull’annessione delle province meridionali al regno sabaudo, ancora una volta affronta il problema in maniera magistrale e autonoma. Non a caso manifesta a più riprese la sua concezione federalista quale unica soluzione possibile per favorire un rapporto pacifico tra le diverse realtà in campo. Pur sapendo che la maggioranza, arroccata sulla centralità amministrativa, delibera in maniera opposta alla sua proposta, non demorde dalla sua linea, ma sviluppa il suo discorso in tutta la sua ariosità concettuale. Avrà la soddisfazione successivamente, sotto l'impeto travolgente dei guasti creati dalla suddetta politica messa in campo dalla controparte, di proclamare la sua completa estraneità alle gravi responsabilità prodotte in termini di perdite umane e materiali, le cui conseguenze durano tuttora. Nell’occasione il deputato mostra di muoversi nella realtà partenopea con padronanza e conoscenza diretta, dato che si è portato a Napoli per motivi di studio. Rivolge il primo tributo a Giambattista Vico, ritenuto suo maestro, quindi, discorrendo della identità partenopea, afferma testualmente: “Il popolo napoletano è poetico, grande, ingegnosissimo”. A supporto di ciò rievoca fatti ed eventi di varia portata, in cui si estrinseca l’anima partenopea pervasa da una umanità profonda, in cui avviene la coesistenza straordinaria degli elementi antitetici, donde si sprigiona la forza necessaria per affrontare le dure prove esistenziali. Siffatta concezione trova il corrispettivo oggettivo nella realtà circostante, modellata in maniera analoga. Infatti, qui convivono Apollo e Dioniso, qui si riscontrano l'essere e il divenire, qui si alternano palazzi maestosi e miseri tuguri con i relativi abitanti, qui si dispiegano parimenti la ragione e il sentimento, qui si intersecano il mare e il Vesuvio, qui persino il cielo e la terra hanno un colore particolare, come dimostrano i santi locali più familiari, San Gennaro e Santa Patrizia, costretti in ogni modo, con toni dolci e toni aspri, con abbracci stretti e strattoni impetuosi, a rispondere alle istanze popolari con la liquefazione del sangue, garanzia per la tranquillità collettiva e individuale. Guai all’interpellato che non rispetti le date prefissate per il miracolo: le richieste si accrescono per timbro ed intensità e ben presto ritorna la corretta comunicazione. A questo punto baci alle statue, preghiere, doni, ringraziamenti, edicole e quant’altro suggerisce il momento. Siffatta affermazione da parte di un professore universitario di filosofia, per giunta milanese e militante della sinistra ottocentesca, spazza via le falsità e le offese sparse a piene mani da chi rigetta ciò che non conosce davvero. Nel caso specifico l'eventuale detrattore perde l’opportunità di entrare nel prezioso circuito di una spiccata umanità che si sostanzia nel vissuto concreto quotidiano.
Giulio Cesare Vanini nacque nel 1585 a Taurisano presso Lecce. Si laureò in diritto presso la Scuola di Salerno. Nella circostanza pronunciò il giuramento di rito: "Ego Julius Caesar Vanini ex civitate Licii, spondeo, voveo et juro, sic me Deus adjuvet et haec sancta Dei Evangeli". Propugnatore delle nuove dottrine contro Aristotele, si segnala come oratore violento e visita vari paesi europei. Nel 1615 pubblicò a Lione la prima opera "Amphitheatrum aeternae Providentiae ........ ", e l'anno successivo la seconda "De admirandis Naturae reginae deaeque mortalium arcanis". A Tolosa fu accusato di ateismo presso il parlamento da un certo Franconi. Condotto in tribunale fu condannato a morte. Nell'occasione egli non si scompose più di tanto: dopo aver preso da terra un fuscello di paglia, si rivolse al giudice e disse: "Questa sola mi basta per provare l'esistenza di Dio". Quindi pronunciò un discorso molto importante. La pena capitale venne eseguita nel febbraio 1619, allorché Vanini aveva trentaquattro anni. Nella circostanza subì prima il taglio della lingua, quindi fu arso a fuoco lento.
Giovanni Battista Jesi soprannominato Pergolesi nacque nel 1707 a Pergola, nei pressi di Pesaro, nell'antico ducato di Urbino. Il soprannome, desunto dalla natia località, si deve ai condiscepoli del conservatorio di Sant'Onofrio di Napoli, ove egli fu condotto all'età di dieci anni. Qui ebbe come maestro Gaetano Greco, famoso allievo di Alessandro Scarlatti e suo successore come professore di contrappunto. Dopo nove anni di lavori e studi intensi uscì dal conservatorio e compose per un convento un oratorio intitolato San Guglielmo. Su incarico del principe di Agliano scrisse per il teatro dei Fiorentini un intermezzo buffo, Amor fé l'uomo cecco, che non ebbe successo. Non ebbe migliore fortuna l'opera successiva, Recimero. Tali risultati deludenti gli imposero una riflessione di due anni, durante i quali si dedicò a scrivere musica da camera. Finalmente nel 1730 compose la musica della Serva padrona, rappresentata nel teatro napoletano di San Bartolomeo. Ebbe uno straordinario successo, superiore persino a quello conseguito con le opere successive, il Maestro di musica e il Geloso schernito. Nel 1734 fu nominato maestro di cappella della signora de Lorette. L'anno dopo si recò a Roma, ove scrisse per il teatro Tordinione l'opera Olimpiade.
1) Siervo, de, Fedele sindaco;2) Cadorna Giuseppe; 3) Pandola Ferdinando; 4) Turchi Marino; 5) Manna Giovanni; 6) Beneventani Valerio; 7) Belelli Federico; 8) Cacace Tito; 9) Schiani Domenico; 10)Strigari Demetrio; 11) Capuano Giambattista; 12) Rocca, della, Agostino; 13) Errico, d', Emiddio; 14) Napoli, de, Michele; 15) Ruggieri, de, Ruggiero; 16) Tenore Vincenzo; 17) Rendina Federico; 18) Renzi, de, Salvatore; 19) Duca di Petrizzi; 20) Pepe Michele; 21) Filioli Giuseppe; 22) Gigante Raffaele; 23) Freppa Carlo; 24) Caracciolo d'Avellino Giovanni; 25) Agostino, d', Gennaro; 26) Catalano Errico;27) Amato, d', Gaetano Maria; 28) Barracco Roberto; 29) Cortese Paolo; 30) Lauria Ercole; 31) Serena Gennaro; 32) Villari Vincenzo; 33) Mari Tommaso; 34) Muzi Gian Domenico; 35) Tiriolo Vitaliano; 36) Mascilli Ferdinando; 37) Maione Achille; 38) Mignogna Nicola; 39) Barilla Felice; 40) Medici Giuseppe Principe di Ottaiano; 41) Fanelli Giuseppe; 42) Martino, de, Domenico; 43) Morelli Salvatore; 44) Rizzo Antonio; 45) Notaristefano Lorenzo; 46) Lazzaro Achille; 47) Avitabile marchese Michele; 48) Zuppetta Luigi; 49) Albini Gigante; 50) Matina Giovanni; 51) Aveta Carlo; 52) Re, del, Carlo; 53) Matina Giovanni; 54) Giuliano Giuseppe; 55) Mauro Domenico; 56) Piscopo Antonio; 57) Arlotta Giuseppe; 58) Giura Francesco; 59) Barbarise Gennaro; 60) Abignente Filippo; 61) Pulce Giuseppe; 62) Incagnoli Angelo; 63) Duplessis Achille; 64) Gallotti barone Giuseppe; 65) Carafa Nicola duca di Forlì; 66) Cedronio Ercole; 67) Rosica Achille; 68) Savarese Roberto; 69) Giordano Francesco; 70) Sambiase Gennaro duca di San Donato; 71) Raffaele Federico.
Manca il 72° consigliere per le dimissioni date dal sig. Giuseppe Arditi il 13 luglio 1863.
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