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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
In questi giorni si è fatto un gran parlare di Napoli, in modo da mettere in forse la buona fama di quella città bella ed illustre. Merita Napoli questo ultimo oltraggio? Di questo voglio parlare.
Quando io a molti uomini egregi che vivono a Napoli domando: perché non vi occupate un poco della città? Rispondono: Ci sgomenta l’indifferenza pubblica. Non conoscono bene la città. Essa non ha la continuità dei montanari e dei pianigiani, ma la discontinuità dei vulcanici: ha, come il vulcano, un giorno d’impeti, di esplosioni terribili ed anni di riposo: abbandona il capo sulle lave raffreddate e si addormenta: ma quel giorno vale molti anni e sarebbe buon accorgimento di governo non farlo ripetere.
Voi dovreste scongiurare il ritorno di uno di quei giorni, ricordando che una città la quale ha tanti perduto e tanto sacrificato all’unità nazionale, ad una cosa non si rassegnerà mai, a perdere il suo onore, per colpe non sue.
Poi vivono due ordini di cittadini, l’uno separato dall’altro, come un secolo fa, quando i dotti volevano la repubblica alla francese e la plebe voleva il regno indipendente. Quei dotti discendono da Vico e costituiscono la storia; quella plebe discende da Masaniello e serba il costume. Non s’intendono tra loro. Ma una classe intermedia viene sorgendo, di onesti commercianti e industriali, che potrebbe essere come una intesa tra due estremi, consociandosi civilmente ad un fine di benessere comune e di equa convivenza.
La plebe è buona, come la terra da cui nasce il cielo che la guarda operosa ed allegra nello squallore. Il ceto dottorale è ricco di cultura e sentimento. La classe intermedia non arriva a consociarli, lottando a difendere le sue iniziative contro la ferocia fiscale, mentre Napoli è rimasta quasi troncata fuori del commercio italiano.
Che avviene allora? Alcuni che temono investire i loro piccoli capitali in imprese fruttifere, per campare la vita, li allogano in usura.
E, per giustificarsi fanno un discorso strano: Non è usuraio il governo che piglia il cinquanta per cento? Dunque possiamo anche noi.
E ne nasce l’homo hominis lupus. L’agente inesorabile da una parte, l’usuraio dall’altra, l’uno e l’altro onnipresenti.
Sì, signori l’usura cresce dove i capitali non trovano altra forma di investimento e dove la tirannia
fiscale sfrutta le iniziative. E lì voi trovate l’usuraio dietro tutte le forme di frode. Entrate nella bisca e sotto la posta ci trovate la cambiale; entrate nella bottega di lotto e accanto al vincitore trovate l’anticipatore usuriere, sin nell’alcova della Venere sbordellana a adultera.
Questa forma di delinquenza penetra nel costume e si legalizza. Infatti per le pubbliche vie noi leggiamo tabelle sulle quali è scritto: Agenzia dei pegni! E’ una usura protetta dalle leggi. Se l’infelice debitore arriva col prezzo di restituzione una mezz’ora dopo, trova venduto – falsamente – il pegno, talvolta un anellino di oro, talvolta un orologio di argento, più spesso ahi! il materasso e la coperta! E scrissero che i tribunali e le are fecero pietose le umane belve!
Che ci ho da vedere io? Dice l’onorevole Pelloux. Vi rappresenta lo Stato, e se lo Strato non è il protettore del diritto e della morale, è una bugia e allora l’anarchico trionfa di voi.
Ed ecco dentro una città laboriosa e buona è nato questo manipolo di vampiri, sui quali – quasi coefficienti di governo – la legge dorme.
A voi muovo queste domande: E’ lecita l’usura legalizzata, a cui l’istesso Banco pensò al tre e quattro per cento, perché i capitali sfruttassero al quaranta e al cinquanta per cento?
E quando le frodi, dirette all’usura, da più anni si allargavano e irritavano i malaccorti e gli avidi, fece bene l’autorità locale a non sopprimere la brigata di malfattori?
Le bische, le agenzie usuraie debbono esercire sotto l’occhio del potere di polizia e del potere giudiziario?
E che vuol dire? Se si radunano dieci o venti giovani a commentare la massima Dio e il popolo o la dottrina del Capitale, sono tradotti in tribunale, e i biscazzieri, i falsari, gli usurai godono l’extraterritorialità degli ambasciatori!
Mentre l’onorevole sottosegretario rumina la risposta, io dall’Assemblea nazionale voglio mandare un saluto alla vera Napoli, a quella che pensa e lavora, e che mentre per secoli è stata la capitale, non dirà mai di fronte a Roma, la capitale d’Italia voglio essere io!
Giovanni Bovio
Gli studenti del R. Liceo Ginnasio "A. Diaz" hanno dato il 26 giugno uno spettacolo "Pro Patrioti". Ecco il resoconto inviatoci dal corrispondente locale: "Benché non molto brillante, questa commedia di Boccabella)è fuggita una ragazza) ha suscitato molto entusiasmo nei giovanissimi spettatori. Quanto alla recitazione, essa non poteva essere perfetta, data l'età degli attori (più che l'età la cattiva recitazione è dovuta alla mancanza di prove e di direzione: n. d. r.), tuttavia piace porre in rilievo la disinvoltura di Veneroso e qualche buono spunto di Ragosta e di Sara Alba. Negli altri solo buona volontà (era quella che doveva essere sfruttata: n. d. r.). Il varietà organizzato alla fine dello spettacolo è forse piaciuto di più. Si sono distinti specie il Marra, già cantante di Radio Napoli, il tenore Martini Alberto (Marcello Vece), giovane speranza del nostro teatro lirico e l'emozionatissima signorina Capasso. Anche qui è piaciuto il brillante Veneroso nelle vesti di comico. Non impeccabile la regia di Zotti (è venuto meno in pieno alle più elementari cognizioni di azione). Con ciò, però, non vogliamo menomare l'opera svolta dal collega Zotti, la buona intenzione fa sì che passiamo su tutto il resto: speriamo meglio al prossimo anno. Buona la presentazione del collega Pepe. Avviso al pubblico: un'altra volta non fiori ma …. opere di bene.
Il sottoscritto, incaricato della distruzione del brigantaggio, promette una mancia di franchi 100 per ogni brigante vivo o morto, che si presenterà. Tale mancia sarà pure data a quel brigante che ucciderà un compagno, oltre di avere salva la vita. Diffida che sarà immediatamente fucilato chi dia ricovero o mezzo qualunque di sussistenza o di difesa ai briganti e vedendoli o sapendone il luogo, dove si sono rifugiati, non ne dia avviso sollecito alla forza ed alle autorità civili e militari. Tutte le pagliaie debbono essere abbruciate;le torri e le case di campagna, che sono abitate e custodite da forza, debbono essere fra tre giorni scoperte e le aperture venire murate. Scaduto tale termine, saranno bruciate, come saranno uccisi gli animali senza la necessaria custodia di forza pubblica. Resta proibito portare pane e viveri di qualunque fuori l'abitato comune e sarà tenuto come complice dei briganti il contravventore. L'esercizio della caccia è proibito. La guardia nazionale è responsabile nel territorio del proprio comune. Il sottoscritto non intende vedere in questa circostanza che briganti e controbriganti. Perciò tra i primi terrà chi voglia restare indifferente e contro questi prenderà misure energiche. I soldati sbandati, che non si presenteranno tra quattro giorni saranno considerati briganti. Celico (Calabria) 1° marzo 1862.
6 febbraio 1865.
Signori Consiglieri, il franco linguaggio che io andrò a tenere in questa mia breve esposizione, se fosse stato tenuto prima che la Città nostra avesse dato tante splendide prove di abnegazione vero l’Italia, avrebbe forse potuto essere interpretato come dettato da spirito municipale; ma dopo il generoso contegno dell’intiera popolazione negli ultimi rincontri e le prove incontrastabili dei suoi sentimenti unitari e nazionali, i suoi rappresentanti senza tema di essere redarguiti di municipalismo hanno il diritto di alzare la voce per far sì che le venga impartita quella giustizia, che sinora io non so se per opera degli uomini o del fato non ha potuto ottenere.
L’unificazione delle leggi finanziarie in Italia, prima che le condizioni economiche delle varie Province venissero uguagliate, produsse tale spostamento di interessi materiali nella più parte delle Province meridionali e particolarmente in Napoli, che il solo amore dell’unità nazionale ha potuto far tollerare.
Una delle più grandi sventure di questa città è stato il completo isolamento nel quale finora si è cercata ridurla e tenerla.
Una città di 500.000 abitanti, che era centro di movimento amministrativo ed economico di nove milioni di popolo; che sperava nel novello ordine di cose di vedersi largamente ricambiati quei vantaggi con comunicazioni ferroviarie col testo di Italia, con grandi stabilimenti meccanici, col porto e collo sviluppo delle industrie e del commercio, si vede per cinque anni trascurata nei suoi più vitali interesse economici.
Strada Posilipo: Da Mergellina per la gola di Coroglio al trivio dei Bagnoli. Lunga metri 8497, larga 14 metri e 30 centimetri. Essa è sistemata ed inghiaiata, è data in appalto per il mantenimento. Occorrono dei lavori di perfezionamento. Recentemente si sono perfezionate anche la rampe del Coroglio.
Strada della Polveriera: Dal largo Migaglia sulla strada di Posillipo alla banchina della del Capo.
Lunga 918 metri, larga 6 metri e 98 centimetri. E’ sistemata, inghiaiata, è data in appalto di mantenimento.
Strada di Marechiaro: Dal Ponte di Thalberg sulla strada di Posilipo al villaggio di Marechiaro. Lunga 910 metri, larga 2 metri e 44 centimetri. E’ un sentiero naturale per il quale hanno scolo le piovane. E transitabile solo ai pedoni.
Strada del Fosso: Dal 2° Ponte del Demanio sulla strada di Posilipo al villaggio S. Strato. Lunga 384 metri, larga 3 metri e 68 centimetri. E costruita in terra. Vi esistevano due rampe con scalini, distrutte interamente dall’alluvione del 3 luglio 1868. Vi è un progetto approvato per la rettifica del primo tronco.
Strada del Canalone: Dalla strada di Posilipo alla piazza San Paolo in Villanova. Lunga 516 metri e 25 centimetri; larga 2 metri e 25 centimetri. La prima porzione di questa strada di lunghezza 200 metri è a scalini, di basoli vesuviani, la seconda di lunghezza 116 metri è selciata, il rimanente in terra.
La nazione fu posta in mano di ciurmatori che, coprendosi delle ombre dell'amore patrio, baravano il popolo e cambiavano in tristi le sorti ….. E a prova basti rammentare che il Bastogi, quel medesimo che fu ministro, appaltava l'impresa delle strade calabro - sicule, ma lo stato gli assicurava il frutto del 34%; che egli comperava l'appalto a gran denari da parecchi deputati; e che dei venticinque membri componenti il Consiglio di Amministrazione di quella intrapresa, sei soli (dei quali cinque banchieri) erano cittadini privati, quattordici deputati e cinque pubblici ufficiali, anzi intimissimi dei ministri, come se fosse onesto consertare nella medesima persona gli interessi dei conceditori e dei concessionari.
Non è da buono né da onesto ministro tollerare contrabbandieri gli stessi gabellieri, amministrare la cosa pubblica colla misura delle proprie ambizioni e condurre lo stato (che pur metteva ad annua rendita 655 milioni) nella necessità di ricorrere ad un nuovo prestito di 425 milioni per allentare le strettezze che l'opprimevano, e di vendere, per far denari in ogni maniera, le strade ferrate, che erano capitali dello stato, al banchiere Rotschild, nominato non solo di ricchezza, ma di una certa abilità tutta propria a correre dove più sono scompigliate le finanze, urgenti i bisogni, perduto il credito.
Con amministrazioni sì ladre e disordinate a ragione di giusta economia, coi mesi ed anni passati in dono ai contributori morosi al pagamento, colle tanto detestabili prodigabilità che abbiamo accennato, non faccia meraviglia che rinascesse tratto tratto la necessità di nuove prestanze, che il disavanzo crescesse, che la fortuna pubblica fosse incerta e l'esistenza stessa della nazione posta in forse, senza che mai si vedesse segno, donde fondamentalmente prevede il tempo, che al popolo sarebbe concesso di respirare.
Nella prima metà dell'Ottocento a San Giuseppe Vesuviano si svolgevano annualmente due fiere, una nell'ultima domenica di gennaio e la seconda il 19 marzo, coincidente con la festività del Santo Patrono, nello spazio antistante la chiesa parrocchiale.
Qui i commercianti collocano le baracche dopo aver pagato i seguenti canoni: gli orefici e gli zagarellari pagano 40 grana, i torronari, i calzettari, i semensari, i cappellari grana 20, i calzolari, gli stagnari, i caldarani e i cassari 20 grana, i venditori di paste, formaggi, salumi, salami ed arbaiuoli10 grana, i venditori di piante grana 10, i faensari forestieri grana 20, quelli paesani grana 10, quanti poggiano la loro merce a terra un grano.
Pulicenella cetrulo de lo popolo napolitano, primmo prencepe de tutte li buffune passate, preterite e ffetuse, ecceuza, ecceuza, ecceuza.
Facimme acconoscere a tutte li napolitane la justizia fatta da la Gran Corte criminale de Napole, la quale ha ordenato de metterse a libbertà li 70 lavorature de la strada ferrata, che fujeno arrestate pe crapiccio de Monzù Spaventa e trasportate a Ponza, senza rispettà l'articolo de la Costituzione che proibisce ll'arreste a ccapocchia.
Facimmo porzì a ccanoscere ca lo Questore (chillo che na vota se chiammava Prefetto de Polizia) appena saputa la decisione de la Corte criminale, ha subbeto subbeto ordinato de fa ritornà tante patre de famiglia ntra le braccia de le mogliere e de li figlie loro.
Ebbiva, addonca, la Corte Criminale e lo Questore, e se scapacitasse lo popolo, ca ogge la justizia se fà, e non so chiù li tiempe passate ca chi teneva danaro faceva chello che bboleva, e chille che non tenevano niente avevano sempe tuorto!
Con il decreto reale del 29 marzo 1914 è sciolto il consiglio comunale di San Giorgio La Molara in provincia di Benevento e nominato commissario straordinario per l'amministrazione provvisoria il dottor Nicola Galasso. Il provvedimento scatta in seguito all'inchiesta che registra, tra l'altro, un disordine nella contabilità e nella finanza comunale.