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Quando tangentopoli muoveva i primi passi
Il crepitio delle armi e il fervore delle idee, che alimentano i germi della nuova coscienza in Europa e in alcune zone italiane, tra il 1830 - 1850, non scalfiscono affatto la coscienza della nomenklatura locale del tempo. I rintocchi spirituali, segnati dalla chiesa parrocchiale di San Giuseppe, sono vanificati dall'affarismo del sottobosco cittadino, preposto all'amministrazione dei beni ecclesiastici. Eppure la nomina dei due Amministratori, scelti per un mandato triennale dal Sovrintendente Presidente della Provincia di Napoli, su proposta non vincolante di una terna di nomi, avviene, in seduta collegiale, nel Consiglio Comunale (Decurionato), presieduto dall'allora sindaco di Ottaviano, Basilio di Prisco, sulla scorta della "correttezza e della diligenza" amministrative. Un controllo dello stesso Sovrintendente Presidente in loco di "carte, libri e scritture" sfocia, il 3 giugno 1833, nell'arresto di Saverio d'Ambrosio e nella rimozione di Crescenzo Boccia, accusati di aver seguito i ritmi dell'allegra finanza "senza aver mai reso alcun conto" all'organo amministrativo centrale. Al posto dei due inquisiti subentrano Luigi d'Ambrosio e Carlo Leone, coadiuvati, nelle loro mansioni, da un segretario che sostituisce, il 28 maggio 1834, la figura giuridica dell'amanuense "precedentemente autorizzata". I nuovi amministratori, che non brillano per dedizione verso la collettività, si trovano in enormi difficoltà nel sanare "l'ingente arretrato", anche perché i debitori non solo risultano morosi e renitenti, ma non esitano a ricorrere alla forza bruta per far valere il loro capriccio. Preoccupato della piega degli avvenimenti, il governo centrale invia, il 18 maggio 1835, lo stesso "razionale dell'Intendenza" provinciale Giovanni Rocco con l'incarico di riscuotere le somme debitorie, accompagnato da "due piantoni" e, eventualmente, coadiuvato dalla gendarmeria comunale, messa in stato di allerta dal Sottintendente del Distretto. Nemmeno questo intervento straordinario riesce a riempire le casse della Chiesa, dal momento che i due anni successivi vedono aggirarsi per le vie comunali quale esattore "degli arretrati dello stabilimento" Giuseppe Ranieri, che percepisce per questo mandato il compenso di ventiquattro ducati. Gli strascichi delle pendenze debitorie giungono, persino, nelle aule del tribunale, ove gli interessi legittimi della chiesa di San Giuseppe, difesi dall'avvocato del Comune, Michele Barra, trionfano contro l'ostinazione di Andrea Ammirati e gli eredi Ammendola, condannati a devolvere quanto dovuto e costretti a dare le relative garanzie con l'ipoteca dei fondi. Qualche altra lite giudiziaria, come quella contro Tommaso Tafuri di Maddaloni, conclusasi, nella prima fase processuale, con la condanna del moroso all'esproprio di beni, quale compenso di denaro non percepito, approda in appello con l'accusa di falso in bilancio contro gli amministratori della Chiesa. In altri casi entra in gioco la mediazione di "galantuomini" locali i quali, dichiarandosi pronti a rispondere di tasca propria, ottengono benefici sugli interessi arretrati. Nell'ambito di tale patteggiamento viene risolta la pendenza pecuniaria di Michele e Rachele d'Ambrosio mercé l'intervento di Carlo Leone. Certamente i registri contabili della Chiesa risultano un caleidoscopio quanto mai variegato sia nelle entrate che nelle uscite, in quanto le continue transazioni, le revisioni degli interessi, gli accordi fra le parti contribuiscono a tener desta la pazienza certosina di Luigi d'Ambrosio, cassiere per "la parte materiale" dal 1838 al 1840. Di sicuro, nelle pieghe del bilancio richiede un capitolo a parte la "compensazione" chiesta da Michele d'Ambrosio il quale, registrato, contemporaneamente, quale creditore e debitore, è autorizzato, l'8 gennaio 1840, a pagare quattordici ducati e cinquanta grana di resta; un altro capitolo viene aggiunto per la richiesta, avanzata dagli eredi di Onofrio Guadagno, i quali, il 7 ottobre 1840, ottengono di poter diluire negli anni una somma dovuta per l'accumulo di interessi: l'istanza di solvenza del debito di seicento ducati e di derubricazione, inoltrata da Carlo Leone, il 22 maggio 1849, implica un notevole dispendio di energie contabili e tecniche, dal momento che occorre sanare una anomalia procedurale: Carlo Leone e Saverio di Prisco, rubricati, rispettivamente, quali debitore e creditore, hanno agito di comune accordo nell'utilizzo della suddetta somma, come è attestato da una scrittura privata "in forza di pubbliche cautele" .......... (Pubblicato su "La Bardinella" di Luglio 1993).
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