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IL GOVERNO PARTITO. LE RIVELAZIONI.
Il Comitato d’azione spinse innanzi l’iniziativa rivoluzionaria, creò in tutte le province i comitati filiali e da un capo all’altro dell’antico reame paralizzò la reazione, mantenne con mirabile fermezza l’ordine, agevolò con ogni mezzo l’opera di Garibaldi ed agì con tanta efficacia sulle moltitudini che in quel momento di vero entusiasmo non esitarono a comprendere ed a proclamare l’unità e l’indipendenza d’Italia.
Di questo comitato così solerte, così benemerito della Patria erano principali direttori Luigi Zuppetta, Nicola Mignogna, Filippo Agresti, Aurelio Saffi, Giuseppe Libertini, Luigi Caruso, Gaspare Marsico, Silvio Veratti, Salvatore Morelli, Giuseppe Ricciardi e Giovanni Matina.
Ebbene tutti costoro che all’arrivo di Garibaldi potevano e DOVEVANO mettersi a capo del rinnovamento delle nostre travagliate province con somma buona fede o massima ingenuità da fanciulli abbracciarono i volponi del comitato dell’ordine, si trassero indietro e portarono tant’oltre l’abnegazione patriottica che accondiscesero allo scioglimento dei comitati delle province, di quei comitati che almeno nelle elezioni avrebbero reso di certo utilissimi servizi alla patria combattendo e allontanando dall’urna degli squittinii gli affiliati alla consorteria o al comitato dell’ordine.
Ebbene ci si mostri uno solo di quegli uomini dirigenti del comitato d’azione considerato e protetto dal governo riparatore, uno solo ritraendo piccolo o grosso stipendio e noi cessiamo dall’essere oppositori al governo.
Essi furono inesorabilmente respinti da ogni porta ministeriale e se Luigi Zuppetta può ancora farsi apprestare una vivanda sulla sua mensa, lo deve ai suoi sudori ed alla benevolenza della gioventù studiosa che accorse alle sue lezioni private del diritto penale.
Per l’opposto passiamo in rassegna i membri del comitato elettorale, coloro che solennemente accettavano la costituzione di Francesco II, i settari dell’associazione moderata e vediamo se dalla cornucopia ministeriale cadde su di essi la pioggia dei favori, degli impieghi e dell’oro.
Antonio Scialoia, ministro, commentatore, Segretario generale, consigliere privato della corona, incassando tutti gli stipendi di ministro dal 1848 sino al 1860 (circa 120 mila ducati) e facendo nominare fino il suocero l’ex cappellaio a Toledo ispettore delle Saline di Baia. Ci si dirà, Scialoia aveva dottrina e merito: si ricompensò l’una e l’altra: sì la dottrina astratta dell’economista che messa da lui in pratica rovinò il paese e ce ne riportiamo il giudizio dei commercianti di Napoli, i quali seppero per prova quanto valessero i decreti suggeriti dallo Scialoia nel tempo che fu ministro di finanza del Dittatore e Segretario generale della Luogotenenza: il merito! E perché non fu distinto il merito di Zuppetta per la cattedra di diritto penale? Ma passiamo oltre.
Francesco Trinchera. Sopra intendente generale degli Archivi con lo stipendio di molte centinaia di ducati al mese e con l’appendice dei lucrosi impieghi accordati ai suoi congiunti, e Trinchera, oltre il merito dell’affiliazione alla consorteria, aveva l’altro di essere stato il campione, lo scrittore ufficiale della candidatura al trono di Napoli del sig. Murat.
Ruggiero Bonghi, il Platone in 18° durante la dittatura, afferrò sei impieghi retribuiti, continuò a far bottino con i Luogotenenti, vie impallidire il suo astro al tempo di Rattazzi, divenne furibondo oppositore, ma oggi di nuovo innalzando il vessillo ministeriale, pubblica nel suo foglio – La Stampa – le glorie della Consorteria, ingiuria il paese in cui nacque e dispone a suo modo dell’erario e dei ministri. Il piccolo Platone, il romito di Strasa ha saputo navigare meglio del gran Platone, del divino filosofo.
Goffredo Sismondo – Prefetto a Benevento.
Silvio Spaventa – basta il nome per ricordare chi sia, che fece e che va facendo – Garibaldi lo conobbe e voleva sbarazzarne Napoli: la generosità dei suoi avversari lo salvò; il popolo tentò di trucidarlo, la fortuna lo preservava. Il nostro astro è all’apogeo e non tarderà guari che la storia scriverà pure il suo nome fra quelli dei più famosi ministri della risorta Italia.
Giuseppe Pisanelli, l’austero, l’italiano unitario; inchiniamoci; nelle sue mani stanno i sigilli dello Stato. Egli è tre volte grande, dotto e perfettissimo pel disinteresse. Così crede almeno l’Opinione di Torino; inchiniamoci.
Parleremo noi dei Pandola, dei de Siervo, del Ciccone, dei La Terza, dell’illustre Michele Giacchi, del Ser Pietro, Silvestro Leopardi e di tutta la ciurma degli scoiattoli, dei gufi, delle scimmie e dei pappagalli della consorteria? Ah no! Ne abbiamo già troppo: a noi basta l’aver accennato ai capi per concludere a priori che il governo ha favorito e sostenuto e distingue e appoggia gli uomini di dubbia fede, gli unitari d’occasione, i piloti più destri per condurre la barca pel proprio interesse e perché?
Lo paleseremo nel prossimo ed ultimo articolo delle rivelazioni (prima parte).
La Campana del Popolo, 9 giugno 1863
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