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Agerola nel passaggio dal vecchio al nuovo regime
Il passaggio di Agerola dal vecchio al nuovo regime si svolge sulla pelle di Angelo Fusco, nominato sindaco il 6 agosto 1860 e riconfermato nella carica successivamente dal luogotenente generale del re nelle province Meridionali. Questa elezione suscita una fiera avversione da parte di Filippo Brancati e della famiglia Acampora nelle persone del sacerdote don Luca e dei notai Luigi e Michele. La prima manifestazione pubblica, intrisa di colori reazionari, avviene nel villaggio di San Lazzaro il 25 dicembre 1860, allorché Gennaro Lauritano, Luigi, Vincenzo e Ferdinando Coccia con altri compagni lacerano un “fazzoletto tricolore”, portato in trionfo sull’estremità della baionetta da un soldato. I tentativi sindacali di arrestare i colpevoli cadono nel vuoto, in quanto i fratelli Caccia sono nipoti di Filippo Brancati, comandante della Guardia Nazionale locale. Uguale sorte tocca ad una analoga richiesta di istallare in loco una stazione di carabinieri, in quanto il Sottoprefetto di Castellammare, de Pascale, è imparentato con i Coccia. A questo punto gli avvenimenti, lasciati a se stessi, degenerano. Infatti, il 19 maggio 1861, un’altra manifestazione, organizzata dai soliti mestatori, presenta una maggiore consistenza di partecipanti ascesi a cento uomini che, per giunta, armati di tutto punto, al suono della banda musicale, sfilano per le vie di San Lazzaro inneggiando al re borbonico Francesco Secondo.La sosta minacciosa davanti alla casa comunale, ove è in corso di svolgimento il consiglio per la nomina dei consiglieri, produce la brusca interruzione dei lavori e la corsa sfrenata di tutti, compresi la Guardia Nazionale, il sindaco e il segretario, mentre l’orda scalmanata sghignazza di fronte alla lacerazione dello stemma di Vittorio Emanuele Secondo, attuata da Antonio Brancaccio, nipote di Filippo Brancati. Una forza militare, sopraggiunta nella notte, per ordine del Sottoprefetto, informato dei fatti incresciosi, esegue molti arresti dei rivoltosi, mentre altri si sono dileguati sulla montagna. A questo punto il sindaco, non potendo contare sulla Guardia nazionale, ne istalla un’altra sotto la guida del figlio Giuseppe il quale ne assume il comando il 4 giugno 1861, in seguito alla sospensione del capitano Filippo Brancati.L'azione concentrica di padre e figlio si traduce nell'arresto di altri reazionari e di alcuni che danno copertura agli sbandati, come Filippo Avitabile, Andrea Imperato, Gennaro Cretella alias Diavolillo. La vendetta, organizzata dai soliti Acampora e Brancati, si verifica il 7 agosto 1861: la banda di briganti, scesa dai monti, mette a ferro e fuoco Agerola, lasciata incustodita dopo la fuga degli appartenenti alla Guardia nazionale. Il sindaco è momentaneamente lontano da casa, mentre il figlio trova la salvezza rifugiandosi in un giardino vicino, mentre la loro casa viene spogliata di tutto, biancheria, oggetti e denaro. Il tutto si svolge tra le grida di gioia effuse da alcune donne delle famiglie Acampora e Brancati. Particolarmente attiva risulta Teresa Gentile, moglie di Pietro Campanile, la quale dona denaro e fazzoletti per asciugarsi il sudore al capo Antonio Cavallaro, cugino della moglie del notaio Michele Acampora. Le due vittime si trattengono per diversi giorni a Castellammare, ove presentano rapporto al Sottoprefetto e al comando generale di Salerno. L'avvento di un distaccamento dei bersaglieri, comandato dal capitano Romagnano, consegue l'arresto di molti esponenti della Guardia nazionali. Il capitano di stato maggiore di Salerno, Filippone,venuto subito dopo, non avendo trovato il sindaco, raduna il consiglio comunale e nomina nella carica sindacale Pietro Brancati, fratello di Filippo e padre di Antonio, uno dei partecipanti alla suddetta prima manifestazione reazionaria. Inoltre scioglie la Guardia nazionale e ne forma un'altra con a capo un nipote del sindaco, al cui fianco agiscono come aiutanti i notai Acampora. In barba a tutto ciò i briganti aumentano di numero e uccidono quanti manifestano attaccamento al nuovo sistema politico, come il sacerdote don Carlo Lauritano, Gregorio Coccia, Antonio Russo, Matteo Gentile e Pasquale Naclerio. Questo grave documento di accusa, le cui pagine trasudano profonda amarezza, viene stilato da Angelo e Giuseppe Fusco, costretti a vivere lontano dal paese natale.
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