Luci ed ombre in Terra di Lavoro all'indomani dell'unità d'Italia
Di Admin (del 29/05/2011 @ 14:26:37, in articoli, linkato 700 volte)
All'indomani dell'unità d'Italia, precisamente il 5 ottobre 1861, l'agricoltura in Terra di Lavoro, sebbene utilizzi ancora tecniche e metodologie antiquate, presenta condizioni generali soddisfacenti.Infatti, la produzione di grano non solo soddisfa la domanda interna, ma si proietta anche in ambito francese. Un percorso quasi analogo vale anche per l'olio. Guarda, invece, ai mercati inglese, francese e americano la robbia in seguito all'intensificazione produttiva, succedanea alla sua diffusione dal circondario di appartenenza a quello di Castellammare, nonché alla sua diversificazione, dovuta al colore più brillante rispetto all'omologa transalpina. I risultati potrebbero essere di gran lunga superiori, se ci fosse un'adeguata rete strutturale. Essa passa dalla necessità di sviluppo della rete viaria su strada, su ferro e sul mare, ad un accrescimento dei monti frumentari, essenziali per ridare respiro al contadino, costretto ad attingere le risorse finanziarie da fonti private quanto mai esose e strozzanti. Le industrie, legate all'agricoltura, riguardano l'allevamento del baco da seta, la distillazione dei vini e l'allevamento degli animali. Il primo comparto, inzialmente fecondo, si muove in un'angolatura ristretta, data l'atrofia dell'insetto. La distillazione dei vini, effettuata precedentemente con la materia naturale, al momento con il granone, particolarmente accentuata nei circondari di Nola, Caserta ed Aversa,registra tredici stabilimenti a Cicciano, cinque a Marigliano ed altri sparsi qua e là. Le maggiori richieste affluiscono dall'Inghilterra, dalla Francia e dall'America che pagano un dazio di tre ducati, pari a dodici lire e settatantacinque centesimi, per ogni pippa o botte di dodici barili. Gli animali lanuti,oltre le carni ed i formaggi, forniscono le cosiddette lane mosce, utilizzate per la confezione dei materassi e dei guanciali. Gli animali bovini, adoperati per i lavori dei campi e per il tiro dei carri in occasione dei trasporti pesanti e voluminosi, offrono la carne da macello, il cuoio e il latte, sostanza fondamentale dei formaggi chiamati Caciocavalli. Gli animali bufalini, cresciuti nei Mazzoni di Capua,offrono carne, ricercata, soprattutto, dalla povera gente in due mesi dell'anno, settembre ed ottobre,nonché ottimo e copioso latte, la cui trasformazione contribuisce alla confezione delle mozzarelle e provole, secche ed affumicate. Gli animali porcini ad ingrasso sono alimentati parte nei boschi con ghiande e parte con fave cucurbitacee e con granone: la loro carne è distribuita, fondamentalmente, nel circondario; sola una piccola parte viene destinata a quello di Napoli. L'industria manifatturiera, nella quale lavorano moltissimi operai, registra un settore dedicato alla lavorazione della seta organzina, attualmente in decremento per la malattia dei filugelli. L'attività di ben trentacinque stabilimenti procede con sei caldaie, quella di dieci con trenta; uno è dotato di una macchina a vapore. Presso Caserta spicca la real fabbrica di tessuti di seta di San Leucio, laddove i quattrocento lavoratori, di entrambi i sessi, sono specializzati a produrre stoffe, rasi, velluti, damaschi broccati, broccatelli ed altri articoli. Nel villaggio di Casolla si trovano sette colliere con sedici caldaie. Aversa si segnala per la produzione di tele, di vetri e di critalli, mentre a Piedimonte d'Alife, in virtù delle acque del fiume Torano, svetta maestoso lo stabilimento di Giovanni Giacomo Egg, addetto alla filatura dei tessuti di cotone e lino da parte dei novecento operai. Nello stesso circondario si trovano molti e rinomati lanifici per la consistenza e varietà cromatica dei prodotti: tra questi vanno annoverati quello di Polsinelli in Isola, quello di Ciccodicola e Sangermano in Arpino, quello di Zino in Carnello, quello di Picani, Lanni e Cocchione in Sant'Elia, quello di Manna e Simoncelli in Isola. A fronte di siffatta produzione non mancano le lamentele. Esse riguardano, soprattutto, l'imposta fondiaria che, raggiundendo il 5% della rendita, ne assottiglia l'introito. Alla luce di tale spaccato il coro degli operatori economici si effonde in una petizione concreta, veicolata a creare casse del credito fondiario, destinate a venire incontro alle "prestanze" agrarie, industriali e manifatturiere. Ai suddetti problemi, che costituiscono un pezzo della questione meridionale, deve rispondere la nuova classe politica con indicibile impegno, se davvero vuole cancellare definitivamente dall'immaginario collettivo il regime borbonico e contribuire a dare voce a chi è stato tartassato nel corso dei secoli.
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