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Le condizioni politiche e sociali di Lettere nell'Ottocento
Di Admin (del 29/05/2011 @ 07:15:07, in articoli, linkato 778 volte)
Le difficili condizioni politiche e sociali, in cui si dibatte Lettere nell'arco di buona parte dell'Ottocento, si condensano nella vita di Andrea Ruotolo che ne rappresenta uno dei principali mestatori. Infatti, la sua intrigante presenza si avverte fin dal 1837, allorché egli, più che trentenne, prende in fitto la mensa vescovile locale, già incorporata in quella di Castellammare fin dal 1818. Ciò gli consente di entrare nelle grazie di monsignor Angelo Maria Scanzano, sotto la cui protezione egli compie ogni forma di efferatezza e di violenza, ordite nel chiuso della masseria vescovile, trasformata in triste ricettacolo di merce rubata e di delinquenti incalliti. Eletto capitano della Guardia Nazionale di Lettere, arruola i concittadini più ribaldi, nomina come ufficiali gli amici ed i loro figli. Dopo il 15 maggio 1848, sciolta la Guardia Nazionale, con spregiudicata disinvoltura diventa lo "spione" della polizia in virtù dello spazio amicale concessogli da un certo Palmieri e dal commissario Campagna, ai quali consegna denunce redatte secondo il criterio della vendetta personale ai danni degli innocenti. Dopo alcuni mesi non esita ad accogliere in casa sua il capitano D'Afflitto, deputato a disarmare la Guardia Nazionale. Nella circostanza, avvenuta il 15 novembre 1848, egli si impossessa di tutte le armi dismesse. Subito dopo fa eleggere capo urbano Michele Sabbadino sborsando di tasca propria trentasei ducati. Così il campo d'azione delle sue malefatte si allarga ulteriormente, tanto che gli onesti cittadini, non riuscendo più a sopportare questa cupa atmosfera, affidano, nel 1851, le loro doglianze al nuovo vescovo Francesco Petagna. Tali speranze liberatorie non vanno deluse, come dimostrano i due immediati provvedimenti, vertenti, rispettivamente, sulla destituzione del capo urbano Michele Palladino e sull'esilio comminato ad Andrea Ruotolo, costretto a trasferirsi ad Avellino con l'intera famiglia sotto il peso di gravissime accuse. Tutto ciò non abbatte affatto la sua indole indomita e malvagia la quale si perita a comprare a suon di denaro contante la benevolenza della "camarilla", rappresentata da Palmeri, Campagna e dal colonnello Armenio. Ed i frutti non tardano a maturare: Andrea Ruotolo, richiamato dall'esilio, viene inviato con un incarico speciale in Calabria, donde ritorna, dopo un anno, nella città natale che sprofonda nel degrado precedente. Sono pienamente consapevoli del cambio di clima moltissimi compaesani, costretti con insulti e minacce a firmare una petizione inviata al re Ferdinando II e mirata ad abolire la costituzione, dopo che è stata stilata un'apposita delibera decurionale, fatta presentare da suo cugino Onofrio Ruotolo e da un suo amico don Benedetto Cavallaro i quali vi accludono anche una nota degli "attendibili". Con indicibile facilità indossa la maschera del trasformista il 25 giugno 1860, allorché si dichiara liberale e perseguitato politico, portando a testimonianza le più recenti pagine del suo vissuto personale, esperito lontano dal suolo patrio. Così dichiara guerra aperta ai suoi nemici, compresi gli attuali decurioni i quali, memori del passato ancora bruciante sulla loro pelle, deliberano di estromettere lui e i suoi figli dall'arruolamento nella Guardia Nazionale. Gli bastano solo pochi giorni per mutare completamente lo scenario, visibile tra gli scranni dell'aula consiliare nel successivo 22 luglio, allorché il sindaco Giovanni Giordano e i decurioni, debitamente minacciati, gli consegnano le chiavi della milizia cittadina. A questo punto egli diventa il padrone assoluto di tutto.